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Calendario della Resistenza: tante date e tanti Caduti da ricordare

Comitato provinciale di Novara


La lotta partigiana nel Novarese
(attualmente Novara e Verbano - Cusio - Ossola)

Alcune date significative del mese di maggio


L'ECCIDIO - Forno, 09 Maggio 1944

Caduti: dr Vito Casalburo, dr Gianni Castaldi, Luigino Comolli, Adriano Carrà, Bruno De Micheli, Piero De Micheli, Gino Meneghini, Piero Meneghini, Aurelio Godi

Un grave problema preoccupava i comandi partigiani: quello di trovare delle località adatte e delle case idonee al ricovero dei feriti e degli ammalati. Infatti la guerra partigiana obbligava le formazioni a spostarsi continuamente dell'una all'altra valle. Negli ospedali della pianura il rischio era quotidiano sia per i ricoverati partigiani sia per i medici e gli assistenti che si prendevano cura di loro.

Non possiamo dimenticare la grande e amorevole opera di assistenza svolta dalla direzione, dai medici e dalle suore dell'Ospedale di Omegna sotto la minaccia di un intervento delle SS, della Politzei o della G.N.R. Ma nonostante si sapesse della generosa e coraggiosa ospitalità riservata ai partigiani dai sanitari di Omegna, per evitare fatali imprudenze non si poteva ricorrere sempre alla loro opera. Il coprifuoco e i posti di blocco rendevano difficile il trasporto sicuro dei partigiani feriti od ammalati all'ospedale. Molte volte erano sufficienti baite, il più possibile lontane dai luoghi di operazione; altre volte si doveva ricorrere ad infermerie, attrezzate alla meglio, in paesi della valle.

Anche a Forno, in Valstrona, nasceva così una piccola infermeria nascosta fra la Chiesa della borgata ed alcune case. In questo rifugio i feriti e gli ammalati erano assistiti dai due medici, Vito Casalburo e Gianni Castaldi, e delle due coraggiose partigiane Dina Clavena, sorella di un giovane caduto a Megolo, e la moglie di Godi, uno dei primi ricoverati in infermeria.

L'alba del 09 maggio 1944: una fitta nebbia avvolgeva le modeste case dei paesi abbarbicati ai pendii della valle. Le campane avevano dato gli ultimi rintocchi dell'Ave Maria quando Forno era invaso dai rastrellamenti della "Tagliamento" che, nel silenzio della notte, erano calati dalle bocchette di Rimella e del Mazzucone. Le spie avevano compiuto alla perfezione il loro servizio. Infatti, l'infermeria era immediatamente individuata e contro di essa si dirigeva una furibonda sparatoria. Godi, non rendendosi conto di ciò che avveniva, si sporgeva dalla finestra della sua camera ed un attimo dopo stramazzava al suolo freddato da una raffica di mitra.

L'arciprete, don Zolla, richiamato dagli spari, presagendo ciò che sarebbe avvenuto, si precipitava dal comandante del reparto, ten. Filippi, per implorarlo di non commettere nuovi crimini sottolineando che ovunque e in ogni tempo i feriti e gli infermi erano stati rispettati. Il ten. Filippi rassicurava don Giulio Zolla. Il prevosto, felice, di essere riuscito ad impedire un nuovo spargimento di sangue, rientrava in chiesa e si approntava a celebrare una Messa in ringraziamento. Ma la Messa doveva essere interrotta: un fedele avvertiva il sacerdote che i repubblichini non avrebbero mantenuto la promessa. Don Zolla, sospendendo la funzione religiosa, ritornava nella piazza davanti alla chiesa, e vi trovava già addossati al muro, con le mani alla nuca, i due medici, Luigino Comolli, Carrà Adriano, i fratelli De Micheli, i fratelli Meneghini: di fronte, il plotone di esecuzione.

A nulla valsero le accorate preghiere di don Zolla che offriva la propria vita per la salvezza dei condannati a morte. Il ten. Filippi, sghignazzando, ordinò al Prevosto di chiamare la popolazione affinché assistesse all'esecuzione. Al rifiuto del sacerdote di convocare nella piazzetta la popolazione, il ten. Filippi diede un'alzata di spalle e, con scherno, replicò: «Allora, assista lei!». È il ten. Filippi che impartisce l'ordine di fuoco!. Un mitra s'inceppò, caddero solo sette degli otto partigiani messi al muro; non venne dato, una seconda volta, l'ordine di far fuoco. Ci pensò il ten. Filippi a chiudere la partita: una raffica del suo mitra abbatté il superstite. L'ufficiale nero si rivolge ancora al Prevosto e, con voce dura e minacciosa, avvertì: «Questi cadaveri li lascerete qui fino a questa sera, poi li seppellirete. Fate i funerali, ma semplici, dei cadaveri non mi curo».

I funerali, allontanatisi gli sciacalli della "Tagliamento", raccoglievano tutta la popolazione attorno alle nuove vittime della ferocia fascista.


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LA SAGRA DELL'INFAMIA - Chesio, 09 maggio 1944

Caduti: Elio Sanmarchi, Nardino Bariselli, Enrico Bionda, Nicola D'Angelo, Rodolfo Moranti, Giovanni Sozzi

Un altro tragico fatto avvenne all'alba del 09 Maggio. Alcuni giorni prima, le staffette avevano avvertito il Comando partigiano della rinascente brigata "Beltrami" che reparti repubblichini della "Tagliamento" si erano venuti ad aggiungere a quelli già di stanza ad Omegna e Gravellona rinforzando i posti di blocco allo sbocco della Valle Strona. Il giorno 8 maggio sembrava che quell'insolito movimento avesse preannunciato un rastrellamento nella vicina Valsesia. Infatti, nel pomeriggio del giorno 08 maggio i reparti della "Tagliamento" lasciavano Omegna spargendo la voce che si sarebbero diretti verso la valle tenuta dai Garibaldini.

Al primo allarme il Comando della "Beltrami" aveva lasciato Chesio e si era trasferito in località Loccia sistemandosi in alcune baite abbandonate, per evitare ai valligiani di Chesio rappresaglie da parte del nemico. Ciò nonostante era necessario che gli addetti al vettovagliamento scendessero ogni giorno in paese per i rifornimenti. Proprio in quel periodo il Comando era rimasto isolato dai gruppi armati dislocati sul Mottarone, in Camasca e nella zona di Casale Corte Cerro. Contrariamente alle previsioni, una compagnia della "Tagliamento" arrivava a Chesio guidata da uno dei soliti traditori. Bloccato il paese, abbarbicato sulla sponda più ampia della Strona, iniziava il rastrellamento. La pattuglia formata da sei partigiani (Nandino Bariselli, Enrico Bionda, Nicola D'Angelo, Rodolfo Moranti, Elio Sanmarchi, Giovanni Sozzi) risaliva alle baite. Elio Sanmarchi apriva la fila della piccola colonna partigiana, intonando una canzone e gli altri gli tenevano dietro. Fu proprio Elio ad accorgersi, troppo tardi, dell'imboscata. Nell'atto di imbracciare il fucile veniva colto da una raffica di mitra e cadeva fulminato.

Neppure i cinque compagni di Elio riuscirono a raggiungere un riparo; furono circondati, spalla contro spalla tentano una disperata difesa; rimasero tutti feriti e furono costretti ad arrendersi. I cinque partigiani feriti, vennero trascinati in un locale dell'osteria della borgata e sottoposti a torture: non parlarono, non rivelarono i nomi dei loro compagni, né ove erano accampati e neppure la consistenza dei reparti della "Beltrami".

Accorse don Giacoletti, parroco di Chesio, un grande, umile pastore di anime, un pastore coraggioso che mise in atto ogni tentativo per salvare la vita a quei ragazzi, già barbaramente torturati dai fascisti. Don Giacoletti s'inginocchiò ai piedi del comandante del reparto fascista, implorando pietà per i cinque partigiani e offrendo la propria vita in cambio della loro. A nulla servirono le accorate preghiere del sacerdote e cadde nel vuoto l'offerta della propria vita. Dinanzi alla Chiesa della Madonna della Cravatta, nella piazzetta, don Giacoletti fu costretto ad assistere all'eccidio.

Nardino Bariselli (*) rifiutò la benda agli occhi e, rivolgendosi ai militi che compongono il plotone d'esecuzione, gridò: «Voglio che mi guardiate e voglio guardare i miei assassini». Raffica di mitra….

Rodolfo Moranti, pure essendo colpito al petto, rimase in piedi. Il comandante diede il colpo di grazia a Nardino, Nicola, Enrico e Giovanni, poi ordinò agli sgherri di trascinare Moranti fino alla sottostante borgata di Prillo… Il corpo martoriato di Rodolfo Moranti venne ritrovato, qualche ora dopo, dai valligiani, ai piedi di un albero.

Quando i fascisti, soddisfatti, se ne andarono, don Giacoletti, quasi come augurio a sé e alla popolazione di Chesio, disse: «Andate pure, fascisti, ma non vincerete!» Poi il buon parroco rimase solo, dinanzi a quei giovani torturati e trucidati, s'inginocchiò e cominciò a ricomporre le salme pur con gli occhi annebbiati dal pianto.

* * *

(*) Il fratello di Nardino, Rolando Bariselli, cade a Montrigiasco il 16 marzo 1945 e il padre prende il posto dei suoi figli. La madre Angelina Pazzini, omegnese e antifascista, è sempre presente nelle lotte operaie. Dopo l'8 settembre, col nome di battaglia di "Raffaella", svolge un'intensa attività sui monti e al piano nei "gruppi di difesa della donna". Dopo la liberazione, Mamma Bariselli è il simbolo delle donne omegnesi: consigliere comunale nel 1946 per il PCI, che la propone anche candidata al Parlamento.


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UN PRATESE FRA I MAQUISARDS - La Roche, 24 maggio 1944

Caduto: Fiorenzo Valsesia

Fiorenzo Valsesia nasce a Prato Sesia il 2 agosto 1920. L'8 settembre si trova militare in Francia; si arruola immediatamente nell'esercito partigiano francese contro i nazisti, per la libertà dei popoli. Partecipa a numerose azioni finché è catturato dai nazisti, torturato e fucilato il 24 maggio 1944 a La Roche in Alta Savoia.


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UNA FAMIGLIA DI PARTIGIANI - Grignasco, 26 Maggio 1944

Caduto: Sesto Carniello

La famiglia Carniello era nota in Paese per la sua dedizione alla causa partigiana. Due caduti, uno gravemente ferito e la casa distrutta dovevano essere il contributo dato alla lotta di Liberazione da questa famiglia.

Il 26 maggio 1944 un reparto di briganti neri invadeva l'abitazione dei Carniello e rintracciava i due figli, Sesto e Ottavo, partigiani che avevano ottenuto di fare una breve visita ai genitori. Sesto e Ottavo immediatamente venivano fatti oggetto di violenti percosse e fatti rotolare per le scale dal terzo piano fino al terreno.

Strappati dalla loro casa i due giovani erano derubati di quanto avevano nelle tasche e trascinati verso la piazza del paese. Durante il tragitto Ottavo, con uno strattone, riusciva a sfuggire dalle mani delle guardie nere e pur essendo colpito da una pallottola riusciva a raggiungere un riparo sicuro e, in seguito, il proprio Comando partigiano.

Sesto, nel tentativo di disarmare un fascista, era abbattuto da una raffica di mitra.

I fascisti, per nulla soddisfatti, rientravano nell'abitazione dei Carniello, prelevavano la madre e la trascinavano all'Albergo Falconi, ove con lusinghe e minacce tentavano di farsi indicare il rifugio di Ottavo. Riuscendo inutile ogni ricerca del ferito, erano date alle fiamme e completamente distrutte tre case: quelle dei Carniello, di Mario Vinzio ("Pesgu", comandante della brigata "Osella") e di un altro partigiano del luogo.


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