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Le raccolte di fotografie pubblicate sul nostro sito


Calendario della Resistenza: tante date e tanti Caduti da ricordare

Comitato provinciale di Novara


La lotta partigiana nel Novarese
(attualmente Novara e Verbano - Cusio - Ossola)

Alcune date significative del mese di aprile


UN EROICO MEDICO NOVARESE

Caduta: Attilia Zeno, 12 novembre 1944
Caduto: dr. Luigi Ubezio ("Bigin"), Flossenbürg, aprile 1945

Professionista di notevole valore, con una vasta clientela a Novara, il dr. Ubezio non esitò ad abbandonare il proprio studio per dedicarsi alla causa partigiana.

Ottenne dal Comando Garibaldino della Valsesia di poter organizzare, a spese proprie e sotto la sua direzione, un "servizio informazioni" che diede immediati risultati positivi, grazie ai suoi addentellati in tutti gli uffici pubblici e nei comandi nazifascisti di Novara.

Entusiasta e dotato di senso pratico, non solo riuscì a fornire al Comando partigiano e agli alleati preziosissime informazioni, ma trasportò con la propria macchina partigiani feriti o ammalati nelle case di cura di Milano e Torino e anche staffette con materiale di propaganda e documenti di estrema importanza, superando i posti di blocco nemici. Decine di azioni pericolosissime non fiaccarono la volontà dell'eroico chirurgo garibaldino, che per essere più vicino e a completa disposizione del Comando, nel settembre 1944, abbandonò la città e si spostò a Maggiora.

Ubbidendo ad un ordine del Comando garibaldino, una sera di febbraio, accompagnato dalla moglie Attilia Zeno che costituiva sostegno morale e materiale nel compito che si era assunto, portò una staffetta al Comando Generale di Milano, dove era attesa ansiosamente. Al rientro, nei pressi di Galliate, una pattuglia partigiana gli intimò l'Alt!. Pensando ad un trucco dei fascisti, l'Ubezio non raccolse l'intimazione e proseguì. Una raffica: la moglie s'accasciò su di lui, colpita a morte. Pur con l'immenso dolore per la perdita della compagna, l'Ubezio continuò la lotta a Nibbiola, dove era ospitato da alcuni parenti.

Belloni lo attaccò sulla stampa fascista, accusandolo apertamente di essere un partigiano, ma l'Ubezio, anziché usare particolari precauzioni, si diede da fare per procurare basi sicure per i nuclei di resistenza che operavano nel Basso Novarese.

Dei fascisti travestiti da partigiani chiesero ed ottennero il suo aiuto; quindi lo arrestarono e lo portarono alle carceri di Novara.

L'ultimo suo scritto al Comando Garibaldino della Valsesia, vergato in cella e fatto pervenire per vie clandestine, diceva:

«Cari amici, non proponete ufficiali tedeschi per il mio scambio. Riservate queste cartucce per altri partigiani che devono essere liberati. Io spero di cavarmela da solo»

Il Comando Garibaldino tentò ugualmente di proporre lo scambio facendo pressioni tramite l'Arcivescovo di Milano, ma purtroppo l'Ubezio venne immediatamente inviato al campo di smistamento di Bolzano e quindi trasferito nel campo di eliminazione di Flossenbürg in Germania.

Dai compagni di prigionia che hanno avuto la fortuna di rientrare in Patria si è conosciuto il comportamento dell'Ubezio nel campo di concentramento. Era l'animatore, il più forte, e manteneva alto il morale di chi gli era attorno, sempre certo della vittoria del popolo. A pochi giorni della Liberazione, prodigandosi nella cura degli ammalati di tifo petecchiale, venne colpito dallo stesso male e non resse all'attacco del morbo.

Cadde così l'eroico e generoso partigiano novarese, nell'esercizio della sua missione, proprio nel luogo dove il nazismo credeva di aver distrutto la fraternità e la pietà.


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UN NOVARESE FUCILATO AL "MARTINETTO" - Torino, 5 aprile 1944

Caduto: Giulio Biglieri

Biglieri è un novarese di adozione: nato a l'Aquila il 9 ottobre 1911, a sei anni arriva con la famiglia a Novara, dove compie gli studi e consegue il diploma di ragioniere presso l'Istituto Tecnico Mossoti, facendosi una larga cerchia di amici.

Ancora giovane, Biglieri esprime, con grande coraggio, la propria avversione per il fascismo. Nel 1932, con un gruppo di amici legati dalla comune avversione della dittatura, organizza un movimento che, avendo come base di preparazione il territorio della Repubblica di S. Marino, ha come obiettivo Roma. Il complotto viene scoperto; Giulio Biglieri, nel 1932, viene arrestato, rinchiuso nelle carceri di Novara e, in seguito, trasferito a Regina Coeli, a Roma.

L'OVRA, la polizia segreta fascista, non riesce a raccogliere prove concrete a carico di Giulio Biglieri e dei suoi amici del movimento clandestino; dopo un breve periodo di carcere, in attesa delle prove Biglieri e i suoi amici vengono rilasciati. Biglieri effettua regolarmente il servizio militare di leva; viene richiamato alle armi nel 1935 e inviato in Africa Orientale dove rimane, ininterrottamente, fino al 1940. Rientrato a Novara, Biglieri partecipa ad un concorso per addetti alle biblioteche, lo vince e viene destinato alla Biblioteca Nazionale di Torino. Nuovamente richiamato, Biglieri viene inviato sul fronte greco-albanese ove si conquista la medaglia di bronzo e croci di guerra al valor militare.

Nel 1943, Giulio Biglieri è in Italia meridionale dove viene sorpreso dagli avvenimenti del luglio e del settembre. A Roma, Biglieri ha diversi amici di sicura fede antifascista, si reca da loro, partecipa alle loro riunioni, viene incaricato di portare al Nord prezioso materiale clandestino, tra cui "L'Italia Libera" nell'edizione romana curata da Leone Ginzburg.

Raggiunta Torino, Biglieri si unisce ai più attivi antifascisti e si getta nella lotta con grande passione e coraggio. Il Comitato Militare Regionale Piemontese affida al novarese il compito di mantenere il collegamento fra il Comitato stesso e il CLN di Novara e gli attribuisce inoltre il compito di ‘"coordinatore militare". Come ufficiale di collegamento, Biglieri ha sovente contatti con i membri del CLN Jacometti, Leopardi, Torelli (quest'ultimo sostituito poi da Borgna); come coordinatore militare ha frequenti contatti con i comandanti delle formazioni partigiane garibaldine, autonome e matteottine che operano in città o in montagna, in Valsesia, nel Cusio, nell'Ossola e nel Verbano, oltre che con i più attivi organizzatori di aiuti alle formazioni armate (Ribaldi, Ferrarsi, Menotti, Somaglino, ecc,).

A Novara, Giulio Biglieri ha ancora i suoi vecchi amici e tra questi Ludovico Bertona (ottico, antifascista trucidato in Piazza V. Emanuele, ora Martiri, il 24/10/44), il prof. Piero Fornara (illustre pediatra, capo carismatico della resistenza novarese, Prefetto della Liberazione e deputato costituente), il pittore Sergio Bonfantini, che fa parte di una famiglia di antifascisti (il padre Giuseppe dopo la Liberazione è Presidente dell'Amministrazione Provinciale, il fratello Felice muore nel campo di eliminazione di Dortmund, il fratello Corrado è il comandante della "Matteotti" nella lotta di Liberazione e deputato dopo la Liberazione, il fratello Mario professore universitario e scrittore, prende parte alla Lotta di Liberazione ed è fra i primi partigiani che entrano in Domodossola).

Il Biglieri viene arrestato nuovamente a Novara nel febbraio del '44, ma, come in precedenza, i fascisti non riescono a raccogliere prove sufficienti e dopo dodici giorni di carcere lo rilasciano ma con una feroce reprimenda da parte del gerarca Dongo che lo diffida anche a lasciare Novara.

Marzo 1944: Corrado Bonfantini viene ferito dalla Polizia in piazza Carignano; trasportato all'Ospedale, pur essendo in gravi condizioni, riesce a fuggire. Nel C.M.R.P., il posto di Bonfantini, in rappresentanza del partito socialista, lo assume Piero Garlando, impiegato di banca; il Garlando viene arrestato il 27 marzo dalla polizia fascista e sul suo taccuino trovano i dati di nascita dei membri del CMRP e in particolare la data del 31 marzo e il luogo d'incontro (piazza Duomo) dei membri stessi; il prof. Fornara ricorda in un suo scritto che in questura Piero Garlando «confessa ciò che sa, tra l'altro l'indirizzo di Biglieri». Nel pomeriggio dello stesso 27 marzo, Biglieri viene arrestato nell'alloggio di corso Belgio a Torino.

I primi mesi del 1944 sono drammatici per il CMRP: il Col. Ratti cade nelle mani dei fascisti il 9 gennaio; il maggiore Pezzetti è ucciso in febbraio; l'avv. Guglielminetti, democristiano, Ogliaro e Acciarini, socialisti, vengono catturati e deportati a Mauthausen dove perdono la vita; Giachino Enrico ("‘Erik"), organizzatore delle SAP torinesi, viene catturato il 14 marzo; l'avv. Verdone, liberale, viene arrestato il 26 marzo e Quinto Bevilacqua, segretario della federazione socialista di Torino, segue la stessa sorte il 27 marzo, così come Girando e Leporati, ispettori del CMRP, e Montano, arrestati il 29 marzo.

L'Agenzia Stefani annuncia che il 31 marzo, nel Duomo di San Giovanni a Torino, «a seguito di una brillante e rapida azione degli organi della Polizia Repubblicana», vengono arrestati il gen. Giuseppe Perotti, Silvio Geuna, Eusebio Giamone, Waldo Fusi, Cornelio Brusio, Paolo Braccini, Franco Balbis, Luigi Chignoli. E' lo stesso Mussolini ad ordinare ai giudici del tribunale speciale un «processo esemplare e per direttissima».

IL PROCESSO

Il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato dà inizio al processo il 2 aprile. Il dibattito dura soli due giorni, il 2 e 3 aprile, nonostante gli interventi brillanti ed appassionati degli avvocati difensori e le scarse e di dubbio valore prove a carico, il Pubblico Ministero chiede, come da ordine di Mussolini che venga pronunciata «una sentenza implacabile, una sentenza che abbia l'effetto di scoraggiare pesantemente ogni futura attività cospirativa». E la sentenza è "implacabile" per otto imputati. Vengono «condannati a morte mediante fucilazione alla schiena»: Perotti, Balbis, Bevilacqua, Biglieri, Braccini, Giachino, Giamone, Montano. Vengono condannati all'ergastolo: Garlando, Geuna, Girando, Leporati. Viene condannato a 2 anni di reclusione: Brusio. Vengono assolti per insufficienza di prove: Fusi e Chignoli.

Alle "Nuove" nella giornata del 4 aprile, Giulio Biglieri scrive alcune lettere (ai genitori, alle sorelle, agli amici); Valdo Fusi, ricordandole al prof. Fornara, osserva: «chi legga e rilegga le lettere dal carcere di Giulio Biglieri saprà trovarvi aiuti inestimabili alla propria vita spirituale».

La sentenza di condanna a morte viene eseguita il 5 aprile 1944 al Poligono di Tiro del Martinetto.

E' un'alba squallida, grigia; i condannati a morte debbono sopportare ancora alcune noiose formalità imposte dalla burocrazia. Sono le 7 quando i Condannati vengono fatti sedere e legati. Alle 7.30 il comandante del plotone d'esecuzione ordina: «puntate»! Il gen. Perotti grida «Viva l'Italia libera»; il suo grido viene ripetuto dai sette compagni di lotta e di martirio.

Un missionario della Consolata che ha assistito, nelle ultime ore, i condannati a morte, testimonia del loro magnifico comportamento. Lo stesso missionario ricorda pure l'incapacità a sparare dimostrata dai militi della GNR tanto da costringerli a «parecchi colpi di grazia».

MOTIVAZIONE MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE

Capitano Giulio Biglieri

«Valoroso combattente e abile organizzatore della Resistenza. Catturato per tale attività e poi rilasciato con la clausola della vigilanza speciale, riprendeva la sua opera per la libertà. Arrestato con i membri del Comitato Militare del C.V.L piemontese, cadeva dinanzi al plotone di esecuzione con la fierezza del soldato che sa di morire per un superiore ideale».

Torino, 8 settembre 1943 - 5 aprile 1944.


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LA RAPPRESAGLIA SEMINA ODIO - Colloro di Premosello, 2-4 aprile 1945

Caduto: Natale Zonca

Dal febbraio del ‘45 il paese è presidiato da reparti della "Ravenna", assai nota per le razzie ed assassinii. Don Giovanni Del Boca, arciprete di Premosello, scrive nel suo diario che «la fama da cui è preceduta non è davvero buona». Il comandante della compagnia di stanza a Premosello, certo Moscatelli, è a conoscenza della fama che accompagna i militi della "Ravenna", tant'è che, rivolgendosi all'arciprete, dimostrando stupore e risentimento, chiede: «Vi hanno detto che noi siamo dei malviventi»?

I militi della "Ravenna" non hanno bisogno di presentazioni. Già nella prima notte, i presidianti di Premosello sparano contro gli operai che iniziano o teminano il turno di lavoro in fabbrica; alcuni operai vengono feriti, alcuni in modo grave, ma commenta Don Giovanni: «ogni rimostranza è inutile; il loro fucile ha sempre ragione».

Lunedì 2 aprile, due giovani forestiere stanno percorrendo la strada che da Premosello sale verso Colloro; quattro militi della "Ravenna" seguono le giovani, poi, sebbene l'offerta di accompagnarle venga decisamente respinta, le affiancano fino all'interno dell'abitato di Colloro. Le due giovani non sanno proprio come liberarsi dagli indesiderati accompagnatori e percorrono più volte le stradine della piccola frazione nella speranza di indurre i quattro militi a lasciarle.

A liberare le due giovani donne arriva un secco comando di «mani in alto» e in fondo alla strada sbucano tre partigiani con i fucili spianati. Due militi alzano le mani; il terzo si butta nella stradina laterale e riesce ad eclissarsi; il quarto, riparatosi dietro le due giovani, riesce ad estrarre la pistola, spara un colpo, fallisce il bersaglio e viene ferito da un colpo sparato da uno dei tre partigiani.

I due militi che si sono arresi vengono accompagnati all'accampamento partigiano; il ferito deve essere abbandonato in quanto viene segnalata una colonna fascista da Premosello. Durante la salita, nei pressi della fontana del Canvàl, i militi si imbattono in Natale Zonca; il capo degli sgherri estrae la pistola e spara un colpo al ventre al malcapitato Zonca, poi, seguendo l'esempio del loro capo, i militi sparano a casaccio nelle viuzze di Colloro.

Il milite ferito viene caricato su una barella e portato a Premosello e quando la colonna dei militi rientra in paese la popolazione di Colloro, uscita dalle case, trova lo Zonca in un lago di sangue; il ferito viene in un primo tempo ricoverato in casa Piolini, ma la gravità della ferita consiglia di ricoverarlo all'ospedale di Premosello; lo Zonca muore il 4 aprile.

L'arciprete cerca di fare comprendere al comandante dei militi che la rappresaglia semina odio e insiste dicendo «Così facendo non fate cosa onesta» ma la risposta del fanatico capo è «Ebbene, noi lo facciamo lo stesso». Qualche giorno dopo i fatti di Colloro, un milite di sentinella all'ingresso della cooperativa di consumo, mentre all'interno i suoi camerati si abbuffano con panini di farina bianca, burro e marmellata, si lascia incantare dai begli occhi di una ragazza; due partigiani gli piombano addosso e se lo portano via verso Colloro

Il Comando della "Ravenna" è costretto a chiedere lo scambio dei prigionieri. I tre militi fatti prigionieri a Colloro e a Premosello vengono rilasciati e, dalle carceri di Pallanza, vengono liberati tre partigiani.


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IL CALZOLAIO DEI PARTIGIANI - S. Anna di Omegna, 6 aprile 1945

Caduto: Mario Costamagna

Nell'aprile sono ancora numerosi gli scontri fra partigiani e nazifascisti; fra gli altri possiamo ricordare quello del 5 aprile in località Gabbio, piccola frazione del comune di Casale Corte Cerro, fra Crusinallo e Gravellona Toce. Al di la del sottopassaggio della ferrovia, un pattuglione della GNR è appostato in attesa del passaggio di partigiani; l'attesa non è lunga perché una pattuglia del battaglione garibaldino "Romolo" al comando di Carlo Giroldi (‘"Eden"), in marcia di trasferimento, si trova a passare proprio da quel punto. Gli uomini del pattuglione accolgono i garibaldini con scariche di mitra, ma tanta è la fretta che sbagliano appieno il bersaglio. Intanto sopraggiunge un partigiano che è rimasto staccato dai suoi compagni e che coglie d'infilata il nemico creandogli quel momento di esitazione che è sufficiente ai garibaldini per intervenire decisamente. Passati da assalitori ad assaliti i fascisti si danno alla fuga, ma lasciano sul terreno due loro sottufficiali.

L'azione di rappresaglia non tarda a manifestarsi. Nel corso di un precedente rastrellamento, a Foriero in Valle Strona, era stato prelevato il partigiano Mario Costamagna di Cherasco (provincia di Cuneo). Costamagna, detto "‘Pinin", è salito in montagna ed è entrato a fare parte della "X Rocco". All'inizio dell'estate del 1944 viene colpito da una grave malattia e i suoi compagni gli hanno trovato un rifugio a Foriero; per rendersi utile, "Pinin" si mette a riparare le numerose scarpe rotte dei compagni.

I fascisti del Presidio di Omegna lo prelevano e lo rinchiudono in carcere, costringendolo a pulire le verdure per i carcerati. Il 6 aprile, il giorno seguente alla sparatoria di Gabbio, i fascisti strappano fuori dal carcere il giovane "Pinin", lo bastonano, lo legano con una fune ad un grosso automezzo che, carico di briganti neri, si reca in località S.Anna, trascinando il corpo del garibaldino. Prima di essere abbandonata sul ciglio della strada la salma di Mario Costamagna viene imbottita di piombo.

La popolazione di Casale Corte Cerro e i partigiani provvedono ai funerali e, dopo la Liberazione, il corpo del garibaldino viene trasferito al cimitero di Casale Corte Cerro.


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ASSASSINIO IN CASCINA - Isarno di Novara, 10 aprile 1945

Caduti: Giuseppe Avondo, Angelo Colli, Cesare Marchioni

Nei mesi di marzo e di aprile nel '45 si intensificano le azioni partigiane nella zona a ridosso di Novara. Il comando garibaldino impegna particolarmente la brigata "Osella" in un insistente intervento di disturbo sulle rotabile per «fare pagare caro il pedaggio al nemico». Il comandante ‘"Pesgu" non ci tiene a far ripetere il suggerimento e, anche se il nemico è tutt'altro che rassegnato, i partigiani sanno, ora che hanno appreso l'arte della guerriglia, che neppure i tedeschi sono imbattibili.

Sta per avere inizio l'attacco garibaldino ai presidi di Fara e di Romagnano Sesia e, nelle prime ore del 16 marzo, tutte le strade che portano in Valsesia vengono bloccate al fine di evitare che rinforzi nemici raggiungano la zona calda. La "Volante Loss" ha un lungo e durissimo scontro, nei pressi di Briona, con una colonna nazifascista proveniente da Novara e verso sera riesce ad averne ragione e a metterla in fuga. Qualche giorno dopo, il 19 marzo, una squadra dell'"Osella" entra in Novara e, in Piazza d'Armi, cattura sette militi, mentre, nei pressi di Biandrate, i garibaldini della "Musati" bloccano un autocarro carico di materiale esplosivo e catturano quattro tedeschi. Le formazioni di città "Campagnolo", "Dellavecchia", "Rabellotti" e "Biglieri", nell'intensificare la loro attività, si organizzano per l'insurrezione. Il 25 marzo un reparto della "Servadei" attacca con successo il presidio di Arona; reparti dell'"Osella", nei pressi di Orfengo di Casalino, fanno saltare, con mine, alcuni tratti di rotaie della linea Milano-Torino; una squadra della "P.Greta" assale e costringe alla resa il presidio di Vespolate. Nei primi giorni di aprile una squadra della "Nello" fa saltare sull'autostrada Torino-Milano due autocarri tedeschi e ripete l'operazione alcuni giorni dopo eliminando 12 tedeschi.

Una pattuglia della "Volante Loss", nei pressi di Vignale (frazione di Novara), attacca e mette in fuga un reparto della Brigata Nera che lascia sul terreno un morto e un ferito. A seguito del fatto di Vignale, il 10 aprile, i fascisti effettuano un raid che ha quale obiettivo le cascine Ferranda e Moresca della Frazione Isarno, poco oltre Vignale.

Che cosa intendono fare? Non ci vuole molto a scoprirlo.

I briganti neri strappano dal lavoro della terra tre lavoratori, l'agricoltore Cesare Marchioni (il giorno prima aveva aiutato i fascisti in difficoltà con l'automezzo) e i braccianti Giuseppe Avondo e Angelo Colli e li uccidono sul posto


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I TRE DELL'"AUGUSTO" - Alpe Cardello, 12 aprile 1945

Caduti: Roberto Bogni, Antonio Realini, Guido Valentini

All'Alpe Cardello (mt.800), appena sopra Germano, un piccolo comune della Valstrona, vi è un santuario dedicato alla Madonna. Sovente i partigiani della "Beltrami" si accampano all'Alpe Cardello o nelle baite di Luneglio poco più in alto. Nove uomini del Battaglione "Augusto" arrivano, la sera dell'11 aprile, dopo una lunga, durissima camminata, carichi di armi conquistate in una azione vittoriosa, l'Alpe Cardello, ma purtroppo per gli stanchissimi ragazzi, all'Alpe vi sono già accampati partigiani del Battaglione "Burlotto" un'unità come l'"Augusto". Non possono fare altro che riprendere la salita per arrivare alle baite di Luneglio, dove rinunciano a mangiare e si buttano, vinti dalla stanchezza, sul fieno.

Ma il riposo dei nove giovani non dura a lungo; all'alba del 12 aprile vengono svegliati di soprassalto da spari, raffiche, scoppi. La sparatoria che sembra interessare l'Alpe Cardello non dura a lungo ed è seguita dal silenzio. Remo Ricci, il comandante della squadra dell'"Augusto", fa nascondere le armi conquistate e dispone i suoi uomini in modo tale da potere mantenere sotto controllo i diversi sentieri che portano alle baite Luneglio. Vi è la certezza di avere le spalle coperte dalla squadra che si rifugia all'Alpe Quaggione.

Ad un tratto la scia giallognola di un razzo solca il cielo; è la segnalazione della presenza di un reparto nazifascista ed altri reparti. Presumibilmente, il razzo è partito dalla località Montebuglio frazione di Casale Corte Cerro, posta sotto il rifugio dei partigiani. Ricci costituisce subito una mini-pattuglia che deve andare in ricognizione; la pattuglia è composta da Roberto Bogni (‘"Ciccio") di 24 anni, Antonio Realini di 18 anni e Guido Valentini di 20 anni. E' lo stesso Ricci che ricorda: «Poche parole d'intesa, uno sguardo al mitra, …pochi minuti trascorrono ed alcune rabbiose raffiche si fanno sentire. …Dal Quaggione ci giunge l'ordine di raggiungere le postazioni più alte..». I tre nuclei partigiani, riunitisi al Quaggione, pur essendo in numero assai limitato, decidono di portare l'attacco ai fascisti che, dopo breve resistenza, abbandonano la posizione e si danno a una fuga precipitosa.

I fascisti hanno però anche in questa occasione lasciato il segno della loro barbarie: Realini, Bogni e Valentini vengono trovati dai loro compagni non solo colpiti dai proiettili dei mitra, ma «mostruosamente pugnalati in viso e per tutto il corpo»


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CON I PARTIGIANI DI TITO - Serengrad, 12 aprile 1945

Caduto: Enrico Bertani

In Italia e all'estero, vi sono comandi che non rinunciano all'onore e danno l'ordine di resistere all'aggressione nazista. Vi sono intere unità combattenti che, dopo aver opposto accanita resistenza, riescono ad unirsi alle formazioni partigiane locali e a continuare la lotta fino alla vittoria finale.

«…La storia di migliaia e migliaia di nostri soldati nei Balcani si fonde con quella delle formazioni partigiane jugoslave, greche e albanesi. Nel corso della lotta questi reparti italiani si riuniscono tra loro per dare vita alla divisione d'assalto "Italia". Ad Enrico Bertani, nativo di Belgirate, ventiseienne caporale maggiore di artiglieria, dopo due mesi di militanza in una formazione partigiana viene consegnata la Croce al Valor Militare dall'Armata Jugoslava. Nel corso dell'inverno del 1943-'44, con il proprio reparto, difende per due giorni un caposaldo dai ripetuti assalti del nemico e permette al grosso delle forze partigiane di forzare l'accerchiamento e contrattaccare le truppe tedesche; Bertani e i compagni sopravvissuti vengono catturati e inviati in campo di concentramento. Alcuni mesi dopo, nel corso di un'offensiva condotta dai partigiani jugoslavi, Enrico Bertani evade dal campo, trova rifugio presso una famiglia del luogo e, quindi, raggiunge un reparto partigiano italiano dove, ben presto conquista i galloni da ufficiale e guida i suoi compagni in continue azioni di guerra, emergendo per alto valore ed elevato senso del dovere».

Le sue doti di guida e di combattente ancora una volta si rivelano nell'aspro combattimento condotto per la conquista di Babin Dol, quota 98, difesa da rilevanti forze nemiche. Una mina decima il plotone di Enrico Bertani e lui stesso viene gravemente ferito.

Ricorda il Comandante di Compagnia: «..E' l'alba del 12 aprile. Accorro sul posto; un nodo di pianto alla gola mi impedisce di parlare: quasi tutti i più cari giacciono inerti. Enrico è stato colpito allo stomaco e, più lievemente, ad una guancia; ma il suo viso è calmo e sereno, come sempre. Mi guarda con un tranquillo sorriso, mentre intorno infuria la battaglia. Spero che si possa salvare, ma dalle prime parole comprendo che è finito. Lo faccio trasportare in una piccola buca per farlo medicare, ma Enrico non vuole che si perda tempo per lui e chiede, ripetutamente, che si continui a lottare. Infine mi dice: Comandante non preoccupatevi di me, andate avanti perché il popolo la libertà l'attende da noi».

«Enrico spira senza un lamento».

Il governo jugoslavo, alla memoria di Enrico Bertani, stabilisce l'alta decorazione dell'Ordine al Valore, con decreto dell'AVNOI del 19 giugno 1945.


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LA BATTAGLIA DI ARONA - Arona, 14 Aprile 1945

Caduti: Luigi Iorella, Renato Ferrari, Franco Giunta, Ezio Pirali, Gian Carlo Tiboni, Giuseppe Caramella, Giuseppe Guazzoni, Osvaldo Gemma, Angelo Bugio, Giuseppe Nobile, Giovanni Bossetti, Rosa Stadera (civile), Giuseppe Vallorio (civile), Renato Lanzini (civile), Stefano Salini (civile)

La brigata "Servadei" che aveva mantenuto per lunghi mesi in costante allarme i presidi tedeschi e fascisti del Vergante, ricevette l'ordine dal Comando di attaccare il cosiddetto "Alcazar" di Arona, rifugio del nemico. Era la sera del 13 aprile 1945: i partigiani della "Servadei" scendevano dai diversi colli, sovrastanti la bella cittadina che sorge sulla riva del Lago Maggiore. L'ordine di attaccare giunse alle 5.30 del 14 aprile. Un inferno! Ma i partigiani avanzarono decisamente verso il centro cittadino. I fascisti, battuti ovunque, si ritirarono verso la caserma. Quando già si stava profilando il successo dell'azione, una decina di tedeschi, con bandiera bianca, chiese di parlamentare.

Ai partigiani che si presentarono al colloquio, i nazisti proposero di continuare il combattimento contro i fascisti: i tedeschi non avrebbero opposto resistenza. L'inganno era palese e il comando partigiano non accettò le condizioni.

La battaglia riprese con maggior accanimento, ma di nuovo in via Paleocapa si presentò una pattuglia tedesca sventolando bandiera bianca. I partigiani cessarono immediatamente il fuoco e il gruppo dei parlamentari avanzò verso i tedeschi. La pattuglia tedesca si trasse allora da una parte e da una viuzza sbucò una camionetta da cui cominciarono a mitragliare i partigiani ormai allo scoperto

Intanto, ai tedeschi giunsero rinforzi dai presidi vicini e le sorti si capovolsero nonostante il coraggio e l'impeto dei valorosi garibaldini della "Servadei", costretti a spezzare l'accerchiamento dei gruppi nemici provenienti dall'esterno. Persero la vita nella battaglia 12 giovani partigiani e 4 civili antifascisti.

Oltre settemila persone, il 16 aprile, seguirono i feretri dei caduti nella Battaglia di Arona.


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LA VITA PER L'ITALIA - Ornavasso, 15 aprile 1945

Caduto: Edmondo Rossi

Edmondo Rossi, detto "Mondo", fa parte di quel nucleo di giovani di Ornavasso che, nella primavera del '44, si unisce ad Alfredo Di Dio e, con altri nuclei sorti a Casale Corte Cerro, a Cesara e in Valstrona, dà vita al "Gruppo Patrioti Ossola" e, in seguito, nei primi giorni di luglio, con il congiungimento di altri gruppi, quelli del Mottarone, alla Divisione "Valtoce".

La presenza di "Mondo" nelle numerose azioni condotte contro i presidi di Condoglia, Vigogna e Mergozzo o negli assalti al treno blindato è, più volte, determinante per il successo dell'azione partigiana. Cesare Bettini ricorda, ad esempio, che «Edmondo Rossi sale sulla locomotiva del treno che si ferma a Candoglia (luglio '44) per non farlo partire fin quando l'operazione non è finita…. Spara come un dannato e non permette ai repubblichini di affacciarsi ai finestrini e di essere nelle migliori condizioni per individuarci mentre facciamo scendere i cecoslovacchi e ci ritiriamo dietro la piccola stazione». Anche Gino Zanni, un giovane ufficiale omegnese che affianca "Marco" e che partecipa alle azioni con "Mondo" lo ricorda come «un ragazzo di grande valore».

L'attività di "Mondo" e della Brigata "A. Di Dio" recentemente costituita, è sempre intensa e continuerà ad esserlo per tutto il periodo della lotta. La Brigata di "Mondo" nell'aprile 1945 conta 158 uomini che operano particolarmente nelle seguenti zone: nel Cusio (al comando del cap. Valsesia); tra Casale Corte Cerro e Piedimulera (al comando diretto di "Mondo"), in alta valle Formazza.

A pochi giorni dalla Liberazione, il 12 aprile, proprio in Ornavasso, la brigata nera "Ravenna" nel corso di uno dei quotidiani rastrellamenti, cattura "Mondo" ed un altro dei suoi coraggiosi partigiani, Alfredo Rini.

Il Comando della "Valtoce" propone immediatamente lo scambio dei prigionieri, ma i fascisti rilasciano solo il partigiano Rini; il comandante della Brigata "Antonio Di Dio" viene fucilato, nonostante la promessa di scambio, il 15 aprile, nella "sua" Ornavasso.


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SUL CIGLIO DELLA STRADA - Fondotoce, 15 aprile 1945

Caduti: Gilio Battelli, Romeo Maulini, Ireneo Piolini

La testimonianza di Giuseppe Agnesina è stata raccolta da Giuseppe Cavigioli. Ecco quanto racconta il testimone Agnesina:

«Al crocevia di Fondotoce, frazione di Verbania, proprio al punto di incrocio di cinque importanti strade, vi è un munito posto di blocco tenuto dalla Brigata Nera "Ravenna". La sera del 15 aprile due militi (*) armati di mitra e con bombe a mano alla cintura entrano nella trattoria "Tranquilla", adiacente la stazione ferroviaria di Verbania. Io mi trovo ad un tavolo con altri tre amici per mangiare un po' di pane e bere un bicchiere di vino. Con me vi sono appunto Gilio Battelli di anni 31, mio collega di lavoro presso la stazione ferroviaria di Verbania, Romeo Maulini, di anni 33, calzolaio, e Ireneo Piolini di anni 18, un operaio edile. Tutti abitiamo poco lontano dalla stazione di Verbania.

E' l'ora del coprifuoco, le 21. I due militi tentano di provocarci con insulti e scherni, ma noi, non accettando la provocazione, continuiamo a conversare amichevolmente. Ad un certo punto i due militi ci puntano i mitra contro e ci obbligano a seguirli. Ci dicono che saremo accompagnati dal loro Comandante, al posto di blocco distante dalla trattoria circa due chilometri: dovremo subire un controllo. Siamo disarmati e abbiamo sempre fatto il nostro lavoro ma, sebbene lo si dica e lo si ripeta ai militi facendo pure presente che i nostri familiari saranno già in pensiero, i due continuano a pungolarci perché si continui a camminare sul ciglio della strada che confina con i prati, sul lato del lago di Mergozzo.

Stiamo ancora parlando quando i due militi ci scaricano i mitra addosso. Io, ferito di striscio alle costole, d'istinto tento la fuga ruzzolando giù fino al prato e mi va bene perché ormai è notte, Attraverso i prati e mi rifugio nel fabbricato della stazione ferroviaria dove trovo chi mi presta le prime cure. Il giorno dopo vengo prelevato dai compagni del CLN di Verbania i quali mi aiutano a raggiungere la formazione "Valgrande" sui monti di Cicogna. Nell'infermeria partigiana vengo curato dalla infaticabile Maria Peron.

I miei tre amici rimangono stesi lungo il ciglio della statale. I due militi-sicari si appropriano dei portafogli e, per tentare di giustificare il triplice omicidio, infilano nelle tasche dei tre operai trucidati alcune bombe a mano
».

(*) Dopo la Liberazione, i due militi vengono riconosciuti in una fotografia; sono due diciottenni istriani. Arrestati e processati a Novara, nel 1946 i due fascisti vengono condannati a 18 anni, ma riacquistano la libertà tre anni dopo.


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A DUE PASSI DALLA LIBERTA' - Nibbiola - Albonese, 19 aprile 1945

Caduto: Giovanni Genestrone

Giovanni Genestrone è nato a Nibbiola, un comune prevalentemente agricolo della Bassa Novarese, a non più di dieci chilometri dal capoluogo. Giovanni, figlio di un piccolo coltivatore diretto, non vuole lavorare la terra e va a fare il garzone di macelleria; è "allergico" all'istruzione premilitare e risponde senza alcun riguardo ai gerarchetti istruttori che tentano di convincerlo dell'utilità del "sabato fascista".

D'altra parte Giovanni è cresciuto in una famiglia di sentimenti non certamente fascisti e ricerca i suoi amici fra i figli degli operai, dei braccianti e dei salariati che, come lui, non sentono alcuna attrazione per i prepotenti, per i padroni.

Dopo l'8 settembre, la casa di Giovanni Genestrone diventa una dei centri di ritrovo dei giovani "ribelli" di Nibbiola; nella casa di Giovanni si sente Radio Londra e, al termine delle notizie, vi è sempre qualche intervento della padrona di casa contro i fascisti.

Giovanni Genestrone ha i primi contatti con i vecchi antifascisti e, con essi ed altri giovani amici, si mobilita per il recupero di armi e di munizioni da consegnare ai centri di raccolta, che provvedono a fare pervenire il prezioso materiale alle prime bande partigiane.

Quando i garibaldini della "Loss" si portano nella Bassa, il ventunenne Giovanni Genestrone si unisce a loro. Nell'aprile del '45, a poco più di una decina di giorni dalla Liberazione, i militi della "Muti" catturano alcuni partigiani, ma fanno sapere che sono propensi ad uno scambio, forse ritenendo che il Comando partigiano sia in possesso di prigionieri. Le squadre della "Loss" ricevono l'ordine di buttarsi alla caccia di fascisti; la squadra di cui fa parte Giovanni Genestrone si reca nei pressi del cimitero di Albanese le cui mura di cinta si alzano ai margini della strada Novara-Mortara percorsa in continuazione da automezzi carichi di militi.

Infatti l'attesa non è lunga: un autocarro carico di briganti neri appare alla curva e un garibaldino ordina l'Alt! L'automezzo riduce la velocità e pare voglia fermarsi. Giovanni Genestrone, ritenendo di dovere appoggiare l'azione dei compagni, si porta allo scoperto con il fucile puntato verso la cabina; l'automezzo riprende velocità e dalla cabina partono alcune raffiche di mitra che abbattono il generoso garibaldino nibbiolese.


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L'IMPRESA DI "MIRKO" - Varzo, 21-22 aprile 1945

Da tempo la popolazione dell'Ossola e i partigiani sanno che i nazisti hanno deciso di far saltare il tunnel del Sempione e le 17 centrali elettriche della zona in caso di ritirata delle loro truppe e di abbandono dell'Ossola. Il Comandante delle forze unificate dell'Ossola, interprete dell'ansia che aumenta man mano che giungono le notizie del cedimento dei nazisti, invia un messaggio al ten. Icardi, comandante della missione Chrysler, a cui, tra l'altro, fa presente che «.. i partigiani dell'Ossola, consci dell'alta responsabilità che si sono assunti, difenderanno le centrali elettriche con le unghie e con i denti perché sanno perfettamente che dalla loro salvezza dipendono il pane e il lavoro per migliaia di operai al momento della Liberazione»

Le ultime notizie che provengono dai Comandi nazisti fanno prevedere un'immane tragedia, se tempestivamente non si interviene a fare fallire il piano nazista. Al Casello n. 12 della stazione di Varzo sono già ammassate «1.500 casse contenenti 64 tonnellate di tritolo in pani di circa 60 Kg».

Il nemico ha già provveduto ad approntare, sia nella Galleria del Sempione, sia nelle centrali elettrice, le celle o i pozzi per il "caricamento" dell'esplosivo.

Si susseguono riunioni dei comandanti delle diverse formazioni, si discute sul modo e sui mezzi necessari a fare andare a monte il piano di distruzione dei tedeschi e, ovviamente, su chi si assuma tale incarico indiscutibilmente difficile e pericoloso. Non vi è dubbio che, se l'operazione non venisse condotta con grande perizia, vi sarebbe il rischio di provocare gravissimi danni a Varzo e alle sue frazioni.

Infine ecco intervenire Ugo Scrittori ("Mirko") che convince i compagni a desistere dal prendere in considerazione eventuali trattative con i tedeschi e li mette in guardia su un intervento aereo degli Alleati che, senza alcun dubbio, provocherebbe danni maggiori e su più vasta zona. Tutti i comandanti garibaldini presenti alle riunioni sono partigiani di vecchia data, di provato coraggio e di notevole esperienza nelle azioni di guerriglia; "Mirko" perciò incontra subito il loro consenso e il loro entusiasmo. Vengono distribuiti i compiti e viene fissata la notte tra il 21 e il 22 aprile come momento di esecuzione dell'azione. Piove incessantemente e ogni operazione viene eseguita con precisione e tempestività. Squadre del battaglione "Damasco" circondano l'albergo Tronconi di Varzo, in cui sono accasermati una cinquantina di tedeschi; altre squadre costituiscono posti di blocco sulla SS, da Varzo a Crevoladossola; guastatori del Battaglione "Fabbri" provvedono all'interruzione della corrente elettrica e delle linee telefoniche e sabotano l'impianto telegrafico.

"Mirko" e il cap. Luigi del battaglione "Torino", con una squadra, giungono nei pressi del casello n. 12, a un centinaio di metri dalla stazione di Varzo, dove vi è un consistente posto di guardia tedesco. Per ripararsi dalla pioggia le sentinelle si sono rifugiate in un vagone in sosta; due partigiani le disarmano e le immobilizzano. "Mirko", con l'aiuto di alcuni suoi uomini, scardina la porta del casello ferroviario e si trova di fronte ad un'enorme quantità di materiale esplosivo; ordina il trasferimento delle casse di tritolo all'esterno e dà l'esempio mettendosi subito al lavoro.

Sono venticinque gli uomini impegnati nel trasporto del materiale esplosivo lontano dal casello, che depositano in parte sul greto del torrente Diveria e in parte lungo i binari e in parte, ancora, nei prati; poche sono le casse lasciate nel casello. In meno di quattro ore, di notte e sotto la pioggia, i garibaldini compiono tutte le operazioni, compresa quella di collegare fra loro, con una sottile striscia di esplosivo, i diversi depositi e di cospargere di benzina sia le cassette che le strisce di polvere.

Mentre tutti i partigiani si allontanano di alcune centinaia di metri, "Mirko" e il cap. Luigi, con due garibaldini, rimangono sul posto; è "Mirko" (decorato Medaglia d'Argento al Valor Militare) che dà fuoco alle polveri.

«Immense fiammate divampano immediatamente. Fortunatamente umido, il tritolo arde rapido e non dà luogo a dannose deflagrazioni; le fiamme sono altissime… il paese di Varzo è salvo».

I tedeschi fuggono terrorizzati. La Galleria del Sempione è salva, le Centrali Elettriche sono ormai sotto la più stretta sorveglianza dei partigiani, i nazifascisti sono in fuga.


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ATTACCO AL PRESIDIO DELLA "FOLGORE" - Borgomanero, 22-23 aprile 1945

Caduti: Albino Alberghetti, G.Battista Cappelloni

Ormai i partigiani sono ovunque e passano all'offensiva. Le azioni si intensificano sia nelle valli dell'Alto Novarese e della Valsesia, sia nel Medio e nel Basso Novarese, con l'attacco alle caserme e ai presidi delle città.

Proprio in quei giorni, essendo prossima l'"ora X", il Comandante garibaldino invia al quartier generale alleato, con una lettera datata 16 aprile, un piano per l'attacco al presidio di Borgomanero, osservando però che per «condurre tale azione è indispensabile l'intervento di quattro caccia bombardieri alleati».

Il 19 aprile il Comando Zona Militare "Valsesia" invia una lettera ai Comandi della "Divisione Varalli", della "Divisione Paletta" e , per conoscenza, al "Comando Zona Ossola", per dare precise disposizioni circa l'attacco al presidio di Borgomanero che dovrà essere effettuato il giorno 22 aprile. L'attacco diretto è affidato alla "Loss" e dovrà avere inizio alle ore 8.30. La fascia di sicurezza deve essere garantita da reparti della "P.Greta", della "Servadei", dell'"Osella", della "Musati" e della "Curiel".

Gli Alleati spostano l'ora dell'attacco a mezzogiorno e gli aerei raggiungono Borgomanero alle 12.05. I quattro aerei arrivano, sganciano quattro bombe che recano grave danno ad alcune case e colpiscono, solo di striscio, la tristemente famosa Villa Botola dove si trovano quelli della "Folgore". Cade così il fattore sorpresa; il ritardo dell'intervento alleato provoca incertezze e il comando delle operazioni dispone la sospensione dell'attacco. Il reparto garibaldino entrato in Vergano Santa Croce è costretto ugualmente a battersi contro un più consistente reparto fascista: lo attacca e gli infligge notevoli perdite, ma nel corso dello scontro diciannovenne Albino Alberghetti di Trescore Balneario, garibaldino della "Curiel", viene gravemente ferito e, per non cadere nelle mani del nemico, si toglie la vita con un colpo di pistola.

Il 23 aprile è la volta del venticinquenne G. Battista Cappelloni di Borgomanero, operaio elettricista; era stato nella "Folgore", ma, agli inizi del 1945, era fuggito ed aveva raggiunto la "Loss" e si era fatto onore in diverse occasioni: il 23 aprile, di pattuglia alla periferia di Borgomanero, viene colto in un'imboscata e abbattuto da una raffica di mitra.


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