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Le raccolte di fotografie pubblicate sul nostro sito


Calendario della Resistenza: tante date e tanti Caduti da ricordare

Comitato provinciale di Novara


La lotta partigiana nel Novarese
(attualmente Novara e Verbano - Cusio - Ossola)

Alcune date significative del mese di settembre


FORCHE IN PIAZZA - Cannobio, 3-9 settembre 1944

Caduti: Borella Antonio, Cattaneo Italo, Cornalba Giordano, Fabbri Carlo Leone, Ferrari Erminio, Marmonti Luigi Renato, Panigada Bruno, Saio Santo


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CASSINO DI CANNERO - 9 settembre 1944

Caduto: Agrati Franco


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OGGEBBIO - 9 settembre 1944

Caduti: Benaglia Giovanni, Cerini Agostino, Micotti Giuseppe, Micotti Roberto, Polli Natale


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MEINA - 4-5 settembre 1944

Caduto: Angelini Carlo

Tra le varie formazioni partigiane che operano nel territorio del Basso ed Alto Vergante, vi sono bande autonome; si tratta dei reparti garibaldini della "Veloce Bariselli" al comando di "Aries", della "Volante Azzurra" al comando di "Taras", dei reparti della "Valtoce" al comando di "Renatino" e di "Tom Mix", della banda autonoma al comando di "Cinquanta". Quest'ultima, lamenta "Tom Mix", effettua azioni sull'uno e sull'altro versante del Mottarone, che il più delle volte danno origine a spiacevoli lagnanze da parte della popolazione. Anche nella "Volante Azzurra" vi è, fra gli ufficiali di "Taras" , un elemento assai pericoloso, un certo "dr. Igor" (che si saprà più tardi provenire dalle SS).

Per accordo tra i comandanti della zona, il comandante "Marco" invia al Mottarone, come ufficiale di collegamento, il ten. Carlo Angelini. Il giovane ufficiale conquista immediatamente la simpatia dei nuovi compagni di lotta, sia per il suo modo cordiale, sia per il coraggio dimostrato nel corso delle azioni a cui partecipa.

Un giorno il ten. Angelini viene contattato dal "dr Igor" che gli propone di guidare un piccolo reparto all'assalto di un presidio tedesco insediatosi in una villa nei pressi di Meina, ai margini della ferrovia. Il ten. Angelini si lascia convincere e accetta la proposta. Il comandante "Tom Mix" al quale il ten. Angelini aveva richiesto due partigiani, non vedendoci chiaro decide di partecipare direttamente con i suoi partigiani: «Quando arrivo alla villa mi rendo conto del tranello teso dal famigerato "dr. Igor" che ha escogitato il presunto attacco alla villa del presidio. Nel cortile ci sono tedeschi che stanno tagliando la legna, e, poco più in alto, il ten. Angelini, con un fazzoletto bianco intorno alla testa, così come convenuto con "Igor" ma "Igor" non c'è fra coloro che seguono Angelini…». "Tom Mix" è ormai certo che l'azione non è altro che una trappola; cerca di raggiungere il ten. Angelini per indurlo a desistere, ma è troppo tardi. Una serie di raffiche di mitra squarcia l'aria; Angelini e Walter vengono raggiunti da più pallottole. "Tom Mix" con i suoi uomini riesce a trascinare fuori dalla zona pericolosa i due feriti. Sulla strada per Nebbiuno ferma un automezzo con cui, percorrendo la lunga e tortuosa strada che porta sul versante del lago d'Orta, trasporta l'Angelini e Walter all'ospedale Madonna del Popolo di Omegna. Il ten. Angelini muore nel corso della notte fra il 4 e 5 settembre.


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MACABRA MESSA IN SCENA - Cressa-Bogogno, 5 settembre 1944

Caduti: Boggio Ulderico, Fattoretto Pierino, Gioria Giuseppe, Mattioli Dino

Da La Squilla Alpina del 21/10/1945

«Il 5 settembre 1944 sulla rotabile Cressa-Bogono avviene uno dei delitti consueti ai fascisti, ma che lasciano sempre il cuore del popolo pieno di orrore e di sdegno…. Aggiungendo questa volta alla crudeltà anche il tradimento e la viltà, un gruppo di fascisti si aggirano nella zona travestiti da partigiani e, con le imprecazioni e le maledizioni alla Repubblica di Salò e agli uomini che la sostengono, riescono ad ingannare la staffetta Pierino Fattoretto e tre pacifici abitanti del luogo, Dino Mattioli, Giuseppe Gioria e Ulderico Broggio. Questi quattro uomini, colpevoli di essere leali e di non credere alla viltà dell'animo umano che può giungere all'inganno, vengono assassinati come dei delinquenti sulla strada e, come se non bastasse la morte per punirli, vengono anche pugnalati e straziati……».


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GIUSEPPE UBEZIO, PRIMO MARTIRE - Novara 12 settembre 1943

Caduto: Giuseppe Ubezio

Il 9 settembre mattina, squadre guidate da Milanesi Luigi si impossessano, in piazza d'Armi a Novara, di fucili e materiale bellico vario. Altre squadre guidate da Colombo Lionello, Rolla Vittorio, Campagnoli Mario e altri penetrano nella Caserma Perrone e in altre, asportando fucili e munizion L'11 settembre una squadra di cinque uomini guidata da Guido Ferri si porta nella polveriera di Novara e asporta casse di munizioni e di bombe a mano. Nei giorni seguenti vengono gettate bombe nella casa di Zurlo ad opera di Re Remigio ed altri...

Il recupero di armi, munizioni, coperte, viveri è un'operazione che i primi Gruppi di azione patriottica - GAP - ripetono ovunque e, in modo particolare, negli ultimi mesi del '43, in settembre soprattutto, prima dell'arrivo dei tedeschi (12 settembre) e nel corso del loro assestamento. Quelli che precedono sono i giorni della grande fuga dalle caserme, seguiti poi dai giorni in cui ufficiali, sottufficiali e soldati italiani vengono disarmati, inquadrati e, con la scorta nazista, avviati alla stazione ferroviaria per essere caricati e rinchiusi nei carri bestiame che sono diretti verso i campi di concentramento della Germania nazista. Alcuni civili si fermano dinanzi alle caserme per osservare quel via vai di militari; qualcuno forse non si rende ancora conto di quanto stia in realtà avvenendo, poi quando escono le colonne dei nostri soldati, disarmati e scortati dai nazisti, vi è chi comprende che il nostro esercito, umiliato dal comportamento di Badoglio e di molti ufficiali superiori inetti e privi di iniziativa, è lasciato completamente in balia dell'ex alleato.

Come in altre città il popolo si appresta ad aiutare i suoi figli migliori. Gruppi di cittadini che compresero quello che succedeva, si portavano vicino alle caserme per accogliere e proteggere i soldati che riuscivano a sfuggire alla sorveglianza tedesca.

Nel tardo pomeriggio del 12 settembre, fra la gente ferma dinanzi alla Caserma Perrone, vi è il diciottenne Giuseppe Ubezio di Cerano. Il ragazzo sta recandosi da un collega di lavoro quando, attratto dall'insolito spettacolo offerto dall'andirivieni di automezzi, motociclette e motocarrozzette all'uscita della Caserma Perrone (slargo di via C. Magnani Ricotti con via Gen. E. Perrone) si ferma incuriosito nel crocchio di altre persone intente ad osservare.

Una distrazione che è fatale al giovane Ubezio; dal portone della Caserma irrompe una motocarrozzetta con a bordo tre SS; dal mitra di uno dei tre nazisti parte una raffica e il giovane ceranese, colpito al petto, stramazza sul selciato, fulminato; la gente accorre nell'intento di portare aiuto al giovane, ma i nazisti, con i mitra spianati, fanno immediatamente il vuoto attorno al corpo del giovane che giace, ormai, in una pozza di sangue.

«Non funerali! non fiori!», ordina il comando nazista. Eppure mezz'ora dopo la tragedia un primo mazzo di fiori rossi viene deposto sul corpo inerte di Giuseppe Ubezio, vittima innocente della ferocia nazista. A notte inoltrata, il corpo di Ubezio viene trasportato nella camera mortuaria dell'Ospedale Maggiore della Carità, poi, rinchiuso fra quattro tavole di legno, viene portato al cimitero. Per molto tempo, ogni giorno, nel punto ove è caduto il giovane Giuseppe Ubezio viene deposto un mazzo di fiori rossi.

Si saprà, dopo la Liberazione, che chi ha deposto, ogni giorno, quel mazzetto di fiori rossi è Giuseppe Ernesto Bermani, ufficiale di cavalleria, liberale, antifascista, padre dell'avv. Sandro Bermani che, dopo la liberazione, è sindaco di Novara.


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LA "RAZZA SUPERIORE" E L'ODIO RAZZIALE



La Germania è, ormai, "ripulita"; tocca ora all'Italia essere "ripulita" dagli ebrei. La compilazione degli elenchi e delle schede relative agli ebrei residenti o di passaggio in Italia, compilazione effettuata dai Centri per lo studio dei problemi ebraici, con le leggi razziali, dal 1938 in avanti è, dopo l'8 settembre 1943, utilizzata per la condanna a morte o l'invio nei campi d'eliminazione di centinaia, di migliaia d'israeliti, per la razzia dei loro beni, per la distruzione delle loro case. I nazisti, in possesso degli elenchi e delle schede, forniti loro dai fascisti, s'incaricano di rastrellare gli ebrei.

Le SS della 1^ Divisione Corazzata Leibstandarte Adolf Hitler vengono immediatamente in possesso delle liste aggiornate con gli ultimi arrivi appena giungono a Novara e possono, quindi, passare, con tempestività, alla caccia degli ebrei, nel Capoluogo e in provincia.

La più feroce caccia agli ebrei, in provincia di Novara, si sviluppa nei mesi di settembre e ottobre del 1943 e i risultati più evidenti i nazisti li ottengono nel Vergante e nel Verbano.


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L'OPERAZIONE DEL CAPITANO SS KRÜGER - Arona, 14-15 settembre 1943

Caduti: Cantoni Mamiani della Rovere Vittorio Angelo, Cohen Margherita, Modiano Carlo Elia, Modiano Giacomo Elia, Modiano Grazia, Finzi Irma ved. Cantoni, Modiano Bardavid Mary, Rakosi Kleinberger Clara, Rakosi Tiberio Alessandro

Il 14 settembre giungono ad Arona le SS dell'Hauptsturmführer Hans Walter Krüger, un pericoloso "cacciatore di teste". Sono minime le possibilità che un colpo vada a vuoto; gli elenchi forniti dai fascisti, con nome, cognome, provenienza e attuale residenza, riducono le possibilità d'errori.

In questi giorni sono ospiti dell'Albergo Sempione di Arona i coniugi Giacomo e Maria Modiano (rispettivamente di 35 e 20 anni) e i fratelli di Giacomo e Maria Modiano (rispettivamente di 32 e 25 anni). I Modiano provengono da Milano e vi è da presumere che Arona sia l'ultima tappa prima di affrontare il viaggio per la Svizzera, verso la salvezza.

Ma sulla strada dei Modiano vi è Krüger «il biondo capitano dagli occhi azzurri e gelidi» che li sorprende all'Albergo Sempione, non ascolta le loro preghiere, non ha alcun cenno di pietà. I tre fratelli Modiano e la giovane sposa di Giacomo sono caricati nel cellulare; e i loro bagagli sono "alleggeriti" di ogni oggetto di valore.

La carovana si porta a villa Beretta e Piccoli dove risiedono i Rakosi, madre e figlio, di origine ungherese. Il Rakosi, medico, tenta di convincere le SS dell'intrasportabilità della madre, appena dimessa dall'ospedale e ancora costretta a letto; fa presente che è figlio di un "ariano", ma nulla commuove i razzisti hitleriani. Madre e figlio si uniscono, nel cellulare, ai Modiano. Gli automezzi si dirigono, quindi, verso casa Penco, in via Milano. La moglie del fotografo Penco, Margherita Cohen, è ebrea; le SS la strappano dalle braccia della figlia diciassettenne, Eugenia, e la caricano sul furgone. Il viaggio continua: gli automezzi si fermano, ancora una volta, dinanzi alla villa Cantoni per prelevare il Conte Vittorio Cantoni Mamiani della Rovere.

Fallisce sorprendentemente la cattura del comandante Federico Jarach, già presidente dell'Unione Comunità Israelitiche. Federico Jarach, preavvisato del sopraggiungere delle SS, con una barca riesce a guadagnare la riva lombarda del lago Maggiore. A segnalare tempestivamente l'arrivo delle SS e delle loro intenzioni è l'avv. Carlo Torelli, commissario prefettizio. Oltre alla famiglia dell'industriale lombardo, comandante Jarach, riescono a sfuggire alla cattura altri ebrei e fra costoro il commediografo Sem Benelli e moglie, i coniugi milanesi Veneziani, il commediografo Sabatino Lopez.

Oltre a questi fatti dove si conoscono i nomi, vi è una testimonianza del maresciallo dei carabinieri che al processo dichiara: «una sera di settembre vedo passare una camionetta con sette o otto SS e tre civili: un uomo, una donna e una ragazza. …Li seguo in auto fino alla salita Testa, a dieci chilometri da Arona. S'inoltrano nel bosco a piedi, io vado dietro strisciando fra i cespugli. Si è fatto buio, posso sentirli ma non vederli. Odo una SS sghignazzare e dire in italiano «Brava mamma, tua figlia molto buona» e capisco che hanno aggredito la ragazza. Poi, ci sono delle raffiche di mitra…». Nei dieci giorni di permanenza delle SS ad Arona accadono numerosi casi di aggressioni e di violenza.


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LE IMPRESE DEL TENENTE SS SCHNELLE - Baveno, 17-18-19-20 settembre 1943

Caduti: Luzzato Mario, Luzzato Ginesi Bice, Luzzato Maria Grazia, Luzzato Silvia, Ginesi Olga, Serman Emilio, Serman Maria Müller, Müller Stefania, Müller Werner Giulia, Czolosinska Sofia, Wölfsi Emma Baron, Wölfsi Giuseppe, Caroglio Carla, Engel Fanny ved. Berger

Sono le SS dell'Obersturmführer Herbert Schnelle i "portatori di morte" a Baveno. Il podestà è costretto dal ten. Schnelle, a far accompagnare da un vigile urbano le SS a Villa Fedora dove è alloggiata la famiglia israelita Serman: Emilio Serman, la moglie Maria Müller, la sorella e la madre di Maria e la cugina Sofia. E' il 17 settembre: quando le SS raggiungono villa Fedora è assente solo Sofia ed è la sua fortuna perché riesce ad evitare la cattura e la morte. Gli altri quattro componenti il gruppo di villa Fedora sono trucidati. Una delle SS impegnata nell'operazione dichiara: «Non brave persone. Giudei, la rovina dell'Europa» e , quindi «kaputt». Anche in questo caso il podestà di Baveno ha dato l'allarme, ma la famiglia Serman non ha fatto in tempo ad allontanarsi prima del sopraggiungere delle SS. Non si può certamente dimenticare che, prima di allontanarsi da villa Fedora, le SS fanno razzia di ogni oggetto di valore.

Il rastrellamento continua. Nei giorni 20 e 21 settembre sono prelevati, sempre a Baveno, dalla villa del Castagneto, il direttore della Pirelli di Londra, l'ingegner Mario Luzzato, la moglie Bice, le figlie Maria Grazia di 18 anni e Silvia di 16 anni ed anche la cognata Olga. L'ingegner Luzzato e le quattro donne sono portati via e non se ne sa più nulla. Un giorno di settembre del 1943 viene prelevato, da una villa di Baveno, il rabbino Giuseppe Wölfsi; due giorni dopo la moglie del rabbino, Emma Baron, va al comando tedesco per conoscere la sorte del marito. L'uno e l'altra scompaiono per sempre.

Tra i prelevati dalle loro abitazioni a Baveno nei giorni 15 e 16 settembre 1943 vi sono pure Caroglio Carla e Engel Fanny ved. Berger.

Nei mesi seguenti affiorarono dall'acqua del lago dei cadaveri, piedi e mani legati da filo spinato.

Da un elenco stilato dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) vengono comprese nell'elenco delle vittime anche:

MERGOZZO 15/9/1943:

Caduti: Arditi Alberto Abramo, Covo Mario Abramo, David Matilde in Arditi

ORTA SAN GIULIO 15/9/1943:

Caduti: Levi Mario, Levi Roberto

STRESA 16/9/1943:

Caduti: Massarani Olga, Massarani Tullio, Ottolenghi Giuseppe, Ottolenghi Lina

PIAN NAVA 17/9/1943:

Caduti: Bensussan Berthe, Scialom Humbert:

NOVARA 19/9/1943:

Caduto: Jona Amadio


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TESTIMONIANZA di BENVENUTA TREVES - Novara, 19 settembre 1943

Caduto: Diena Giacomo

Molti novaresi e, soprattutto, coloro che hanno seguito gli studi presso l'Istituto Tecnico "Mossotti" per ragionieri e geometri, ricordano la professoressa di lettere Benvenuta Treves (nel dopoguerra per lunghi anni è consigliere e assessore del comune di Novara in rappresentanza dello PSI). Ecco alcune testimonianze.

Domenica 19 settembre 1943: «…alle 9.30, sono in casa mia e sto dando lezioni poiché, come ebrea, sono stata allontanata dalla scuola e insegno ai privati. Un messaggero bussa alla porta recando un biglietto. È del ragionier Muggia, mio buon conoscente e ufficiale della prima guerra mondiale. Ha saputo da un suo amico, funzionario della questura di Novara, che oggi vi sarà un rastrellamento di ebrei e m'invita ad allontanarmi. Non perdo tempo. Infatti, a mezzogiorno preciso, fascisti e tedeschi bussano alla mia porta». Benvenuta Treves ricorda che vengono avvertiti tutti gli altri residenti in Novara, ivi compreso il ragionier Giacomo Diena «…cinquantaseienne, grande invalido di guerra e funzionario di banca» abitante in Piazza S.Agata 2 con lo zio Jona novantenne. «…Diena non fugge, ringrazia chi lo avverte ma soggiunge che a un grande invalido, anche se ebreo, non oseranno torcere un capello. Viene invece prelevato, anche se invalido, e portato all'accantonamento tedesco, nelle scuole Morandi. Di lui non si sa più nulla».


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«L'IMMANE ROGO» DELLA CACCIANA - Fontaneto d'Agogna, 20/9/1944


La Cacciana è un piccolo borgo agricolo nel territorio del Comune di Fontaneto d’Agogna. Il nucleo abitativo è formato di case rurali, cascinali, fienili, stalle, porcilaie; c’è anche la chiesa ed un circolo, luogo di ritrovo nelle pause del lavoro agricolo. Ci vivono una ottantina di famiglie, è gente legata economicamente alla terra, che ha un rapporto simbiotico con la terra.

Alla Cacciana il fascismo non ha mai attecchito. All’inizio del ‘900 il nascente socialismo, la sua visione del mondo aperta agli umili, aveva fatto presa sugli abitanti della frazione che ne aveva assimilato gli ideali.

Alla Cacciana non ci sono spie e traditori. La frazione è un rifugio sicuro anche per i partigiani che operano sulle colline limitrofe di Gargallo, Soriso, Boca, Maggiora. Dopo l’8 settembre del '43, i giovani della Cacciana, pur di non essere costretti ad arruolarsi nella milizia nera, vanno in collina con i partigiani di «Cino», di «Ciro», seguendo il compaesano Alessandro Boca «Andrej».

Nei pressi della Cacciana, nel punto in cui si incrociano la statale Novara- Gravellona con la strada provinciale che unisce Fontaneto d’Agogna a Cressa, proprio a fianco della stazione ferroviaria di Cressa-Fontaneto, sorge l’opificio della S. A. Molini Saini, da cui, sin dall’inizio della lotta di liberazione, escono notevoli quantitativi di farina sia per i reparti partigiani che per le popolazioni, che, per il loro comportamento ostile ai nazifascisti e collaborativo con i ribelli partigiani sono punite «con l’embargo di qualsiasi merce». Questa situazione è una spina nel fianco per il Capo della Provincia Vezzalini e per i suoi accoliti. Per tentare di arginare l’illegale rifornimento alle popolazioni Vezzalini ha da tempo imposto alla Molini Saini un presidio della Milizia con il compito di controllare il movimento delle merci.

Il 19 settembre 1944 il fatto che scatenerà la terribile rappresaglia sulla Cacciana. Una pattuglia della brigata di «Andrej» attacca il presidio, ritirandosi dopo avere catturato quattro militi ed avendone ferito un quinto. Sarà proprio per rappresaglia a questa azione che il giorno seguente, il 20 settembre, le forze fasciste appiccheranno “l’immane rogo” alla Cacciana.

Repubblichini e nazisti, con alla testa Vezzalini, Pasqualy, Martino raggiungono Fontaneto d’Agogna e ordinano ad un sacerdote, Don Merlo di «andare a prendere contatto con la formazione partigiana che ha catturato gli uomini del presidio». Il rifiuto del sacerdote scatena l’ira dello stesso Vezzalini che, rivolto a Pasqualy, urla, indicando il prete, «che cosa aspetti a metterlo al muro». Don Merlo acconsente ad incaricarsi della mediazione, ma, mentre si trova ancora presso il comando partigiano a trattare la restituzione dei prigionieri i nazifascisti si avventano sulla frazione «come fiere selvagge, scatenate, contro le quali nulla si può fare».
Invano i contadini cercano di far ragionare queste belve umane, ma vengono minacciati di fucilazione, ottengono solo pochi minuti per sfollare. La Cacciana viene prima saccheggiata, poi si danno alle fiamme case, fienili, stalle, 54 tra cascinali e abitazioni furono distrutti alla Cacciana, 9 a Fontaneto, 1 a Cressa e gran parte del bestiame ucciso.
Quel giorno piovigginava e nonostante ciò le fiamme e il fumo degli incendi appiccati furono evidenti da lontano e rimarranno tali per giorni, distruggendo il lavoro dei contadini.

I fascisti iniziano a saccheggiare ed a bruciare la mattina, poi si ritirano annunciando il loro ritorno dopo le 16, cosa che regolarmente avviene. Nelle ore di mezzo della giornata, quelle in cui i fascisti si sono allontanati, i partigiani, che si sono distanziati solo di poco, si pongono il problema di come aiutare la popolazione della Cacciana, che loro considerano gente di famiglia. Ci si rende conto che l’intervento armato peggiorerebbe soltanto la situazione, le donne della Cacciana andavano dicendo che «le stalle e le case si potevano ricostruire, ma i morti non si potevano resuscitare ». Non tutti erano così disposti all’inazione di fronte a tanta, inaudita barbarie, tanto che «Andrej» stesso deve faticare non poco a convincere i suoi uomini più riottosi, intimando loro di non sparare.

Ma gli abitanti non abbandonano la loro terra; danno inizio subito all’opera di ricostruzione. La frazione fu ricostruita in tempi brevi; in ricordo dell'incendio è oggi presente un monumento realizzato da un artista fontanetese presso l'ingresso nord dell'abitato.


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LA STRAGE DEGLI EBREI - Meina 22-23 settembre 1943

Caduti: Cori Vitale, Fernandez Diaz Piero, Fernandez Diaz Liliana Skialon, Fernandez Diaz Gianni, Fernandez Diaz Roberto, Fernandez Diaz Bianca, Fernandez Diaz Mise Dino, Mazzucchelli Wertheimer Fròlich Lotte, Mosseri Marco, Mosseri Botton Ester, Mosseri Giacomo Renato, Mosseri Uziel Odette, Modiano Daniele, Pombas Vittorio Haim, Torres Raoul, Torres Nahoum Valerie

Per "ripulire" la provincia di Novara viene una delle quattro divisioni di SS costituitesi per compiere le grandi stragi: la "1^ Divisione corazzata Leibstandarte Adolf Hitler". In provincia di Novara già nei primi giorni di settembre, si era installata un'autocolonna della Wehrmacht che aveva posto i suoi presidi in diversi centri, da Gozzano all'alta Ossola, ma la "Adolf Hitler" ha il preciso compito di eliminare gli ebrei. Oltre agli elenchi e alle schede tenute aggiornate dai fascisti dal 1938 in avanti, a fornire alla SS tutti i dati necessari per individuare e catturare gli ebrei, ci sono anche attivissime le spie fasciste che, per lucro o per acquisire meriti di fronte ai nazisti, "vendono" gli ebrei e le loro famiglie. Tra le spie più vergognose vi è il novarese Ezio Maria Gray che fornisce particolari importanti alle SS.

A Meina erano giunti diversi ebrei dopo lunghe e tragiche peripezie, dalla Grecia e dal capoluogo lombardo. Sono ospiti dell'Hotel Meina, il cui proprietario è il comandante Behar, un ebreo turco, quindi "protetto" da un accordo intervenuto fra la Germania di Hitler e il governo turco.

Gli ospiti dell'Hotel Meina sono: la famiglia Fernandez Diaz (composta dai coniugi Pietro e Liliana Skialon, dai figli Giovanni di 15 anni, Roberto di 12 anni e Bianca di otto anni, dal nonno Moise Dino di 76 anni); la famiglia Mosseri (composta dai coniugi Marco e Betton Ester, dal figlio Renato di 22 anni e della sua sposa Odette Uziel di 19 anni), la famiglia Mazzucchelli (composta dai coniugi Mario e Lotte Frölich - provenienti da Milano e fermatisi a pranzo ospiti del comm. Behar), l'agricoltore Daniele Modiano (di anni 52), il commerciante Vittorio Pombas (di anni 35). Inoltre, anche il barista dell'Hotel, Cori Vitale (di anni 26) è ebreo. Al tramonto del 22 settembre. Il cap. Krüger dispone che gli ospiti di razza ebraica consumino la cena nelle loro camere, poi passa dall'una all'altra camera per informare i prigionieri che è costretto a portarli a Borgomanero dove saranno interrogati da un ufficiale superiore all'uopo incaricato.

Verso le 21.30, i prigionieri vengono fatti uscire dalle camere e allineati a ridosso del muro del corridoio, e vengono trasportati a piccoli gruppi in quanto i tedeschi dispongono di una sola camionetta. Alle tre della notte tra il 22 e 23 settembre si conclude l'ultimo viaggio.

I tre figli dei coniugi Fernandez Diaz e il nonno Dino vengono ricacciati in una camera dell'ultimo piano. Dove sono tutti gli altri ospiti dell'Hotel Meina? Il luogo dove è avvenuto il massacro non è lontano, è ancora in territorio di Meina, nei pressi della Casa Cantoniera, sulla ripa che scende dalla statale del Sempione al lago.

Come sono stati uccisi? I corpi, legati con filo spinato a delle grosse pietre, vengono portati al largo con una barca, sequestrata a certo Ernesto Giuliani, e buttai nel lago. All'indomani alcuni corpi affiorano dall'acqua e le SS li raggiungono con barche e, con arpioni e baionette, li spingono verso il fondo.

Nella mattinata del 23 settembre vi è la raccolta del "bottino" e le spartizioni degli oggetti razziati; alcuni oggetti vengono addirittura venduti in piazza. Ha inizio l'ultimo atto della tragedia di Meina.

I clienti "ariani" dell'Hotel Meina vengono invitati a consumare la cena nelle loro camere e a rimanervi rinchiusi tutta la notte. Una seconda notte d'orrore. I giovinetti Gianni, Roberto, Bianca Fernandez Diaz e il nonno Dino Moise vengono trucidati nelle camere dell'ultimo piano; urla tremende di giovani vittime, implorazioni di pietà del vecchio nonno… poi il silenzio, un silenzio pesante… la tragedia è compiuta. Poi il trasporto sulla ripa…

Da testimonianze raccolte risulta che «Le SS legano i bimbi assieme col filo di ferro, mano contro mano, piede contro piede, e li gettano in acqua tenendoli sotto a forza di remi».


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