UCCIDERE PER UCCIDERE - Prato Sesia, 2 luglio 1944
Caduto: Antonio Fornaia
Nel giugno-luglio '44 la Valsesia ha i suoi "30
giorni di libertà" e in questo periodo i garibaldini sanno
accattivarsi ancor di più la simpatia della popolazione. L'aiuto dei
valsesiani ai garibaldini si manifesta apertamente e il nemico ne tiene
buon conto: con oltre diecimila uomini dà inizio alla controffensiva che
prende il via dalla piccola località di Prato Sesia, nelle prime ore
antimeridiane del 2 luglio.
Proprio il giorno in cui le truppe naziste danno inizio
all'attacco alle formazioni garibaldine, reparti della
"Tagliamento", in retroguardia, si assumono il compito di
rastrellare, di saccheggiare e distruggere.
Dalla borgata di Prato Sesia vengono prelevati tutti
gli uomini e, tra gli altri, dalla casa paterna, viene strappato il
ventunenne Antonio Fornaia. Non vi è pietà nel cuore dei militi neri. Il
giovane Antonio non viene sottoposto ad alcun processo; nonostante i suoi
tentativi di dimostrare che non è un partigiano, non viene creduto e,
messo al muro, viene fucilato.
TACE, PER SALVARE LA VITA AI COMPAGNI - Stresa, 3 luglio 1944
Caduto: Oscar Ambrosini
Non è più giovanissimo Oscar Ambrosini quando si vede
costretto, per non aderire alla Repubblica di Salò, ad abbandonare la sua
Torino, dove è nato nel 1914 e dove lavora, per raggiungere la montagna.
Ambrosini si sposta in provincia di Novara, che
raggiunge con mezzi di fortuna; si ferma nella zona del Mottarone dove,
ben presto, incontra una pattuglia della "Valtoce" e si arruola
nelle file partigiane. "Cesena" è il nome di battaglia che
prende Oscar Ambrosini. Coraggioso, audace, "Cesena" chiede di
partecipare alle azioni più rischiose e proprio nel corso di una azione
effettuata dalla sua pattuglia contro un reparto nazista, presso la
stazione ferroviaria di Stresa, il giovane torinese rimane ferito ed è
catturato. È il 3 luglio 1944.
«Sottoposto ad atroci sevizie al fine di
costringerlo a rivelare la dislocazione delle altre forze partigiane sul
Mottarone, stoicamente sopporta le torture fino alla morte, senza parlare,
salvando così la vita di tanti compagni».
COLPO DI GRAZIA - Ca' Bianca di Prato Sesia, 5 luglio 1944
Caduto: Glauco Bergamotti
Glauco Bergamotti è un riminese, giovanissimo: ha
sedici anni. È un dipendente dell'Ente Risi, a Romagnano Sesia. La
"Tagliamento", alla spalle dei reparti nazisti che attaccano le
posizioni partigiane nella Bassa Valsesia, rastrella la zona passando di
casa in casa, saccheggiando, distruggendo, prelevando civili. Il giovane
sedicenne viene, come gli altri, arrestato; nelle tasche ha un foglio su
cui vi è scritta una canzone partigiana.
Il fascista tenente Pisoni ordina il trasferimento di
Glauco Bergamotti alla Ca' Bianca. Giunti sul posto i fascisti fanno
scavare al ragazzo la fossa; poi lo abbattono a raffiche di mitra.
Al tenente Pisoni "l'onore" di sparare il
colpo di grazia.
TRE GIOVANI FARESI E UNO JUGOSLAVO - Fara Novarese, 8-9 luglio 1944
Caduti: Nino Bosani, Antonio Spagnolini, Cleto Spagnolini, Ladislao Turk
Fino ad oggi, Fara è stato un paese tranquillo «per
cui», ci ricorda il parroco don Giovanni Arancione, «è
stata possibile qualche evasione». Infatti, i giovani che, per l'uno
o l'altro motivo, si trovavano in paese, quasi ogni sera si incontravano
al "Bar del Grisin". Tra gli altri giovani, da un po' di
giorni, vi sono anche il diciannovenne Nino Bosani e Antonio e
Cleto Spagnolini, omonimi ma non legati da vincoli di parentela, sui venti anni,
tutti appartenenti a formazioni
garibaldine operanti in pianura e sulle colline del Medio Novarese. I tre
giovani sono studenti e, approfittando dell'esenzione dal servizio
militare, vengono in paese, frequentano nelle ore serali il "Bar del
Grisin" e raccolgono informazioni utili ai comandanti dei loro
reparti partigiani.
Ovviamente anche a Fara ci sono le spie e i fascisti
non tardano a venire a conoscenza dell'attività svolta dai tre giovani.
«Il mattino del 9 luglio si sparge la notizia della loro
scomparsa. Le mamme hanno trovato i letti vuoti; in piazza, intanto, si
parla di tre morti. Più tardi vengono trovati i cadaveri dei tre faresi
più lontano viene trovato il cadavere di uno jugoslavo», di
certo Ladislao Turk, ex prigioniero evaso da un campo di concentramento.
Don Arancione ricorda ancora che a lungo si è parlato,
in paese, del tragico accaduto, «si è cercato di individuare
mandanti ed esecutori; ci sono stati sospetti, processi, qualche condanna,
ma si sa che la giustizia umana è sempre incompleta. Oggi sono rimaste le
mamme a piangere la loro morte; è bastata una notte per far svanire in
loro ogni speranza in un avvenire più bello, sereno, di pace per i loro
figli
».
ASSALTO AL TRENO - Candoglia, 10 luglio 1944
Caduto: Paolo Stefanoni
La formazione "Valtoce", al comando di
Alfredo Di Dio "Marco", è in periodo di pieno sviluppo ed è
particolarmente attiva nella bassa Ossola e nel Cusio. Dalla Lombardia e
in particolare dalle zone di Busto, Gallarate, Legnano, Somma Lombardo i
giovani renitenti alla leva fascista continuano ad affluire nelle
formazioni partigiane del Verbano, dell'Ossola, del Vergante e del Cusio
e il numero dei disarmati preoccupa i comandi delle formazioni. Occorre
provvedere armi e munizioni. L'assalto ai posti di blocco, l'attacco
alle casermette dei presidi, le imboscate alle colonne motorizzate e al
treno blindato, il sabotaggio alle due linee ferrate e alla statale per
ritardare il transito dei mezzi militari nazifascisti, sono azioni di
guerriglia che, ormai, si effettuano ogni giorno e, nel corso dei due mesi
estivi, si intensificano sempre più e ottengono risultati sempre più
consistenti.
Fra le operazioni di maggior rilievo vi sono quelle
intese ad aiutare georgiani e cecoslovacchi ad abbandonare le fila del
nemico, ad aggregarsi ai partigiani oppure raggiungere la vicina Svizzera.
La prima di tali operazioni si effettua a Candoglia
dove vi è un forte distaccamento di cecoslovacchi. L'operazione viene
ricordata dall'omegnese Gino Zanni (ufficiale della divisione "Valtoce")
che, con "Marco" ed Edmondo Rossi "Mondo" è fra i
protagonisti dell'azione. Il Comando partigiano è già entrato in
contatto con l'ufficiale comandante del distaccamento cecoslovacco, ma,
comunque, vengono prese precauzioni per evitare o fare fronte ad eventuali
sorprese. L'azione si attua all'ora del rancio, quando i
cecoslovacchi, tutti allievi ufficiali, si trovano nel locale mensa.
Al «mani in alto!», il primo ad alzarle è il
comandante che viene imitato da quasi tutti gli allievi, mentre un
gruppetto tenta la fuga da una porta laterale. Il tentativo rientra non
appena una raffica di mitra, sparata da Zanni al di sopra delle teste dei
fuggitivi, consiglia gli stessi ad alzare le mani.
Del distaccamento di Candoglia solo sei allievi
ufficiali rimangono con i partigiani, gli altri abbandonate le armi
vengono accompagnati al confine.
Quella di Condoglia è per i partigiani un'operazione
utilissima per la conquista di un prezioso bottino di armi. A Vogogna e a
Mergozzo si ripete l'"operazione cecoslovacchi", nel giro di
pochi giorni e con successo.
Evidentemente non si può sperare il ripetersi delle
diserzioni in massa; infatti, assumono la decisione di allontanare
immediatamente i reparti dei georgiani e dei cecoslovacchi dalla
"zona calda" dell'Ossola. Ma tale decisione viene riferita al
Comando della "Valtoce" che, senza perdere tempo, prende
contatto con il Comando del distaccamento cecoslovacco, già
precedentemente contattato. Si conviene che vi deve essere un vero e
proprio assalto al treno alla stazioncina di Candoglia.
L'episodio dell'assalto al treno viene raccontato
dal Novarese Italo Settembri. Il tenente Gino Zanni, Edmondo Rossi
e Paolo Stefanoni con alcuni uomini sono i primi ad avviarsi. Il treno
arriva forse in anticipo ed è il gruppetto di Zanni che deve dare inizio
all'azione. Appena il treno si ferma, "Mondo" salta sulla
locomotiva e, proprio in quel momento, i partigiani vengono investiti da
un nutrito lancio di bombe a mano che, fortunatamente, non arrecano gravi
danni. Paolo Stefanoni, che è un giovane assai coraggioso impugna il
mitra e lo scarica verso i finestrini del treno, mentre i suoi compagni si
buttano sotto il treno per evitare di essere colpiti dai tedeschi di
scorta. Paolo continua, imperterrito, a sparare finché viene colpito in
piena fronte da un colpo di mauser.
Entrano in azione anche gli uomini del Massone, mentre
"Mondo" non solo non permette al treno di riprendere la marcia,
ma prende di mira, e con successo, le teste dei nazisti che,
malauguratamente per loro , si sporgono dai finestrini del treno. Il
combattimento dura una ventina di minuti e si spegne non appena dalle
carrozze scendono i cecoslovacchi, che sono trentacinque. Viene data via
libera al treno. Solo quattro cecoslovacchi rimangono con i partigiani;
gli altri, abbandonate le armi, vengono accompagnati dal tenente Cesare
Bettini al confine. Il bottino di armi è sempre generoso.
Purtroppo si perde un ottimo combattente, Paolo
Stefanoni. A raccogliere il Caduto» ricorda Italo
Settembri rimangono don Sisto, Federico Salaroli ed io
. Paolo
viene caricato su una carretta a mano, fatta quasi a cassa da morto e
scoperta solo in alto; lo si deposita al camposanto
».
Anche per il sacrificio di Paolo Stefanoni, la
Formazione "Valtoce" ha la possibilità di armare molti giovani
saliti al Massone per unirsi al Comandante "Marco".
Una brigata della Divisione "Valtoce" prende
la denominazione di VI brigata "Paolo Stefanoni".
LA CONTROFFENSIVA NAZIFASCISTA IN VALSESIA
Balmuccia, 10 luglio 1944
Caduti: Gino Angelino, Gaudenzio Frasca, Orlando Pastore, Riccardo Pattarono
Alagna, 14 luglio 1944
Caduti: Caduti: Pietro Borlo, Salvatore Catania, Giovanni
Gobbo, Giovanni Giuliano, Ugo Longato, Attilio Remolif, Bruno Righeschi,
Felice Vedani, tutti carabinieri; ed inoltre Luigi Castriota Scandenberg, Ilario Doria,
Renzo Fagnoni, Lorenzo Foglia, Giuseppe Fungo, Mario Martinon, Luciano
Tumulero, Agostino Zangola
Il 2 luglio 1944 si conclude, con una clamorosa
vittoria garibaldina, la prima battaglia per la difesa della "Valsesia
libera".
Il 4 luglio ha inizio la rabbiosa offensiva
nazifascista che si accende soprattutto lungo la strada Romagnano -
Grignasco, in direzione di Serravalle Sesia e sulla Traversagna. Il
Comando garibaldino è assillato dal gravissimo problema della scarsità
delle munizioni, quanto da quello dei gruppetti di "disarmati"
che vanno peregrinando dall'una e dall'altra valle per sfuggire alla
cattura.
L'urto delle truppe naziste, che non hanno problemi
di armi, di munizioni e di viveri e che sono da lungo tempo perfettamente
addestrate alla guerriglia, è tremendamento. I garibaldini della
"Volante Loss", della "VI brigata" e della brigata
"Osella" resistono e respingono più volte gli attacchi del
nemico, si battono con estremo coraggio, perdono e riconquistano le
posizioni, ma sono, infine, costretti a ripiegare anche nel settore
centrale, per evitare di essere accerchiati.
Borgosesia è in pericolo; vi è il grande esodo della
popolazione verso le vallate. La Ca' Bianca viene abbandonata da Jan
Taglioretti e dai suoi uomini, ma, nel contempo, viene fatto saltare il
ponte di Aranco alle porte di Borgosesia. Il 5 luglio i nazifascisti
rioccupano Borgosesia e, due giorni dopo, Varallo Sesia. Il grande esodo
della popolazione preoccupa, ovviamente, i partigiani che si danno da fare
perché uomini e donne, anziani e bimbi rientrino nelle proprie
abitazioni.
I garibaldini hanno numerosi prigionieri - tedeschi,
fascisti, spie e collaborazionisti - e decidono di trattare con il
comando nazista. I nazisti accettano la proposta dei garibaldini: rilascio
dei prigionieri a condizione che la popolazione civile possa rientrare in
Varallo, con la garanzia «che su di essa non deve essere
esercitata ulteriore violenza e rappresaglia».
Le trattative con il Comando nazista vengono condotte
dal Comandante della VI brigata "Nello" e da "Moro".
Con grande lentezza, ostacolata dalla resistenza garibaldina, continua
intanto l'avanzata dei nazifascisti.
Piccoli gruppi di garibaldini "disarmati"
come quello guidato da "Edo", si spostano in continuazione per
evitare di cadere nella rete del nemico. Le pattuglie dei guastatori,
composta dai partigiani Gino Angelino di Pray di venti anni, Gaudenzio
Frasca di Celio di ventuno anni, Orlando Pastore di Balmuccia di anni
diciassette, Riccardo Pattarono di venti anni, viene sorpresa mentre sta
minando un ponte poco sopra Balmuccia. Il reparto nemico veste abiti
civili, si comporta come se fosse un reparto partigiano, e quindi può
avvicinarsi ai giovani guastatori senza sollevare sospetti; i quattro
partigiani vengono assaliti e trucidati a colpi di pugnale.
"Edo" ed "Eros" ricordano di aver
incontrato presso il passo Turlo «due giovani vestiti in
borghese e con il fazzoletto rosso al collo" che dicono loro che
non vi sono né ad Alagna né nelle immediate vicinanze nazisti e
fascisti. Rassicurate, le due squadre di "Eros" ed
"Edo" scendono verso Alagna e, fortunatamente, vengono messe in
guardia da un pastore proprio poco prima di arrivare ad una curva oltre
cui vi è una colonna nemica che sta salendo verso il passo del Turlo. L'avvertimento,
sia pure all'ultimo momento, permette la reazione immediata dei
pochissimi armati e l'eclissarsi dei molti disarmati; nel corso dello
scontro rimane ferito il comandante "Edo".
I nazifascisti investono tutte le valli; i reparti
partigiani meglio armati e organizzati devono evitare sia lo scontro
frontale sia di essere accerchiati e si spostano in val Vogna o in valle d'Artogne.
I "disarmati" si aggirano nella valle di Alagna alla ricerca di
"passi" che permettano loro di uscire dalla zona
"bollente". Un piccolo reparto garibaldino composto da 16
uomini, di cui otto carabinieri, sta arrampicandosi verso Passo del Turlo,
con l'intenzione, probabilmente, di passare in valle Anzasca; il reparto
garibaldino cade in una imboscata e vengono fatti prigionieri i
carabinieri: Pietro Borlo di anni 29 di Brusisco, Salvatore Catania di
anni 22 di Catania, Giovanni Giuliano di anni 20 di Ceva, Giovanni Gobbo
di anni 26 di Castell d'Azzano, Ugo Longato di anni 37 di Scorzè
Attilio Remolif di anni 27 di Chiomonte, Bruno Righeschi di anni 23 di
Loro Ciuffenna, Felice Vedani di anni 40 di Caluso e inoltre i giovani
Luigi Castriota Scandenberg di anni 20 di Napoli, Ilario
"Elvano" Doria di anni 23 di Novara, Renzo "Renato"
Fagnoni di anni 19 di Novara, Lorenzo "Loris" Foglia di anni 23
di Novara, Giuseppe Fungo di anni 19 di San Pietro Mosezzo, Mario Martinon
di anni 19 di Varallo Sesia, Luciano "Tano" Tumulero di anni 18
di Biella, Agostino "Terribile" Zangola di anni 19 di Biella.
Alagna, 14 luglio 1944 : i sedici garibaldini catturati
vengono fucilati contro il muro del cimitero.
GLI ALPEGGI DISTRUTTI - Alpe Cravariola, 14-19
luglio 1944
Caduti: Pasquale Vitetta, Mario Galimberti, Virginio
Randini, Vincenzo Strati
L'Alpe Cravariola è uno dei rifugi dei primi nuclei
di resistenza armata in Val d'Ossola. Carlo Viglio, Montano Lampugnani
ed Erasmo Tosi, novaresi, sono i primi entusiasti giovani ufficiali che
raccolgono attorno a loro i militari che fuggono dalle caserme per non
essere consegnati ai nazisti e che nell'alta Valle Maggia iniziano la
costituzione delle prime bande ribelli.
L'Alpe Cravariola è lontana dalla carrozzabile,
lontana dai passi transitabili, difficilmente individuabili e rimane, per
tali motivi, uno dei punti di appoggio o di sosta dei partigiani per lungo
tempo. Nel giugno luglio 1944 nuclei partigiani sono disseminati in tutte
le Valli Ossolane ed occupano gli alpeggi ove ritengono di potere stare
tranquilli ed organizzare le azioni al piano. Le staffette e i partigiani
addetti al servizio di corvée, portandosi a valle, nei paesi, raccolgono
informazioni, assai utili, sugli spostamenti delle truppe nemiche.
Purtroppo non sempre le informazioni arrivano in tempo
e, in particolare, quando i reparti sono in movimento; è facile trovarsi
faccia a faccia con il nemico o cadere in imboscate.
Proprio nei pressi di Crodo, verso la metà di giugno,
una pattuglia partigiana viene sorpresa da un reparto nazista. Cadono i
partigiani Galimberti, Randini e Strati e, in Crodo, viene arrestato il
pittore varzese Poggi che, rinchiuso in un primo tempo in carcere viene,
in seguito, trasferito in un campo di concentramento nazista; in questo
periodo viene pure arrestata una donna di nome Leoni, per aver fornito
viveri e vestiario ai partigiani.
Il 14 luglio un reparto nazista, composto da una
quarantina di uomini, guidati dal noto "rastrellatore" tenente
Klebs, e un reparto nero, agli ordini del capitano Vanna, occupano Crodo
(Valle Antigorio), rastrellano il paese, piazzano sul campanile della
parrocchiale di Santo Stefano una mitragliatrice, passano la notte in
paese e, il mattino seguente, su indicazioni di spie, si dirigono verso l'Alpe
Cravariola.
Lungo il cammino, nei pressi del monte Salera, i
nazifascisti individuano un partigiano, il garibaldino Pasquale Vitetta,
che, fischiettando, scende a valle. Il garibaldino viene costretto a
scappare per fare da lepre ai cacciatori di uomini e infatti viene
inseguito dalle raffiche dei mitra, finché viene abbattuto.
La colonna si incontra, più in alto, nei pressi del
passo Fria, con altri reparti nazifascisti provenienti da San Rocco di
Premia e da Montecrestese. Raggiunti gli alpeggi di Cravariola, i
nazifascisti entrano nei cascinali dove sono le provviste (burro,
formaggio, ecc.) dei valligiani; fanno un abbondante scorpacciata, poi
distruggono tutto ciò che rimane e danno alle fiamme i cascinali.
Al Croppo, a Cortenovo e alla Stufa non rimane che
desolazione. Il bestiame viene spinto a valle per alimentare le razioni
dai reduci della spedizione punitiva e dei loro camerati.
L'IMBOSCATA - Nebbiuno, 16 luglio 1944
Caduti: Carlo Barberi, Peppino Beldì, Innocente Ragazzoni
Dalle pendici del Mottarone alle colline del Vergante i
partigiani sono di casa già dal settembre del '43: sono affettuosamente
accolti nelle famiglie delle borgate disseminate sia sul versante del lago
Maggiore, sia su quello del lago d'Orta; trovano rifugio nei numerosi
cascinali che si rincorrono nei pascoli della lunga dorsale, al di la dei
frutteti e dei boschi di cui è particolarmente ricca la zona compresa fra
Nebbiuno e Paruzzaro.
Negli ultimi mesi del 43 e nei primi del '44 si
formano dei piccoli gruppi autonomi, poi, nella primavera, prendono vita i
primi due gruppi di una certa consistenza: quello di Giulio Lavorini
"Tom Mix" e di Franco Abrami e quello di Renato Boeri "Renatino".
I due gruppi, a fine maggio, si fondono e continuano a
operare nella zona del Mottarone, tenendo in allarme, quotidianamente, i
presidi nazifascisti di stanza nei centri più importanti da Baveno a
Belgirate e assalendo le colonne nemiche che percorrono la statale 33. L'unità
partigiana del Mottarone rimane in zona anche dopo la fusione con la
"Valtoce" al comando di Alfredo Di Dio "Marco".
Nella primavera del 44, nel Vergante nasce la banda
partigiana comandata da Peppino Beldì che, più avanti, aderisce alla
"Valtoce", ma che agisce sovente in modo autonomo. Quando, con
il fidato e intrepido Rosolino Brignoli, rientra da Sesto Calende facendo
da guida a una settantina di georgiani, armati ed equipaggiati, che
abbandonano il presidio per unirsi ai partigiani, si appoggia alla banda
di "Peppino": sono i suoi uomini che guidano, dalle colline del
Vergante alla Bassa Ossola, il reparto dei georgiani che vuole raggiungere
il grosso della "Valtoce".
Verso la metà di luglio, "Peppino" si
incontra con certo "Cinquanta" che opera con una sua banda (del
tutto autonoma) prevalentemente sulle alture di Orta - Miasino.
"Peppino" viene convinto della possibilità di far disertare
dalle file della GNR numerosi militi pentiti; "Peppino" appare
titubante, ma "Cinquanta" esclude che si possano correre dei
rischi.
"Peppino" è un uomo coraggioso, è sempre
alla testa dei suoi uomini e, sebbene scarsamente convinto, decide di
rischiare e accetta di presentarsi, con alcuni suoi amici, all'appuntamento
fissato in un'osteria di Nebbiuno. Il 16 luglio, come convenuto,
"Peppino" e quattro suoi partigiani, all'ora fissata, entrano
in Nebbiuno; le strade del paese sono deserte e, sebbene sorgano le prime
preoccupazioni, i partigiani raggiungono l'osteria, nei pressi della
parrocchiale di S. Giorgio; anche l'osteria è deserta.
"Peppino" è ormai sicuro di essere stato
"giocato"; nella speranza di potere evitare, con i suoi uomini,
di cadere nella rete tesa dai fascisti, esce dall'osteria per
raggiungere la boscaglia. Proprio dalla porta dell'osteria, un uomo di
mezza età, sbucato improvvisamente da una straducola, mentre passa
dinanzi ai partigiani, sussurra: «ci sono i fascisti» e,
quindi, scompare inghiottito da una delle strade che si perdono nei
frutteti, oltre il paese. È ormai troppo tardi. I militi neri sbucano
dalle case con i mitra spianati. Quale scelta rimane ai partigiani?
Arrendersi o battersi?
"Peppino" e i suoi quattro compagni non hanno
alcun dubbio nella scelta che devono fare e, in ogni caso, vogliono
vendere cara la pelle. I partigiani sono i primi ad attaccare e le prime
vittime sono nelle file del nemico. «Peppino» ricorda
Pier Salvatori, partigiano della "Servadei", «è un bel
soldato. Si distingue per dedizione e valore» e anche i suoi
compagni sono giovani generosi senza paura. Ma, questa volta, i nemici
sono molti e non è sufficiente il coraggio, non è sufficiente la
generosità per fermarli. Solo due partigiani del piccolo nucleo riescono
ad aprirsi un varco, anche con l'aiuto dei compagni, e a guadagnare il
frutteto e i boschi appena al di la dell'abitato. Peppino Beldì di
Oleggio, Innocente Ragazzoni di Massino Visconti e Carlo Barberi di Arona
rimangono al suolo gravemente feriti.
«L'imboscata» ricorda la sorella di
Peppino Beldì «ha il suo epilogo
I fascisti sfogano i loro
istinti bestiali. Dalla chiesa escono alcune vecchiette e dei bambini;
vengono costretti a sputare sui corpi agonizzanti e ad assistere a feroci
sevizie. La testa di Peppino viene staccata dal corpo e una canaglia
fascista mette fra le labbra esangui un mozzicone di sigaretta proferendo
queste parole: "Vediamo, Comandante, se ora sei capace di
fumare».
UNA BEFFA ATROCE - Alpe Noveis, 20 luglio 1944
Caduti: Antonio Gobbi, Mario Silvola, Antonino Toscano e quattro ignoti
I rastrellamenti si susseguono come i grani del
rosario. Le nostre montagne, nell'Alto Novarese e della Valsesia,
vengono, con grande frequenza, setacciate dalle truppe nazifasciste. A
metà luglio del 44, il comandante Arrigo Gruppi "Moro" si
trova, con un suo reparto, nel Basso Biellese. Essendo in corso un
rastrellamento, "Moro" non può spostarsi nella sua abituale
zona di operazione (oltre la Cremosina) e si vede costretto a puntare
verso l'Alpe Noveis, in Valsessera, ove sosta nella notte che va dal 18
al 19 luglio. All'alba del 19 luglio, "Moro" viene attaccato
da forti reparti nazifascisti che, in un primo tempo, riesce a tenere a
bada. Poi con un improvviso contrattacco egli riesce a respingerli verso
fondovalle. L'azione riesce, ma "Moro" sa bene che,
approfittando dello scompiglio messo nelle file nemiche, è il momento di
sganciarsi e portarsi più in alto possibile; dai 1200 metri dell'alpe
Noveis sale ai 2 mila metri del monte Barone ove trova anche un
battaglione dell'"Osella" e un reparto garibaldino di
"Gemisto".
La situazione non è certamente fra le migliori, anzi
Il nemico avanza chiudendo ogni possibile via d'uscita; vani sono i
primi tentativi dei garibaldini intesi a spezzare il cerchio che si va
stringendo attorno a loro. Solo a notte inoltrata il grosso dei reparti
garibaldini riesce, attraverso un canalone e sempre combattendo, a
spezzare la barriere nemica e ad unirsi a reparti della "VI
Nello" e della "Volante". Purtroppo, nel corso dello
scontro finale, dodici garibaldini, nella maggior parte disarmati,
rimangono isolati dai compagni; superano, con la complicità della notte,
le pattuglie d'avanguardia naziste, ma vanno proprio a finire nel mezzo
di un reparto repubblichino. Mentre cinque dei dodici giovani riescono,
ancora approfittando dell'oscurità, a fare perdere le loro tracce
infilandosi in un canalone, gli altri sette vengono catturati.
I prigionieri vengono trascinati al Rifugio Vercelli
dell'Alpe Noveis; malmenati a sangue
denudati
e privati delle scarpe vengono nuovamente torturati, poi, per beffa
atroce, vengono invitati ad andarsene. «Siete liberi» vien detto
loro
.
Sono giovani, forse qualcuno di loro, non conoscendo
ancora la vigliaccheria e la malvagità dei briganti neri, in quel momento
spera di avere salva la vita, gli altri no, lo sanno e attendono la
raffica alla schiena
che arriva puntuale!
Solo di tre garibaldini dei sette trucidati si
conoscono i nomi: Antonio Gobbi classe 1923, di Mede Lomellina, Mario
Silvola classe 1926 di Arona, Antonino Toscano di origine meridionale
ventiquattrenne. Gli altri quattro pare siano carabinieri unitisi ai
partigiani.
FUCILAZIONE ALLA S.I.A.I. - Borgomanero, 28 luglio 1944
Caduti: Carluccio Boriolo, Mario Guadini, Gian Carlo Maggi, Carlo Platini
«
Vi sono diecine di migliaia di patrioti,
di partigiani, di G.A.P. , e di S.A.P., di lavoratori negli stabilimenti
che
rendono impossibile la vita all'occupante»; erano persone che
non avevano lasciato il posto di studio o di lavoro, ma operavano il
sabotaggio ai macchinari, ai materiali necessari alla produzione bellica;
raccolglievano informazioni da riportare ai CLN e viveri, vestiario,
medicinali da far pervenire ai partigiani; diffondevano manifestini per
invitare la popolazione a lottare e perseverare nel boicottaggio contro la
macchina distruttrice del nazifascismo; organizzavano gli scioperi nella
fabbrica e nella scuola; effettuavano direttamente azioni di guerriglia
contro il nemico nazifascista.
Numerosi sono i caduti fra gli appartenenti ai GAP -
Gruppi di azione patriottica; fra costoro vanno annoverati Carluccio
Boriolo, Mario Gulini, Gian Carlo Maggi e Carlo Platini che il 28 luglio
1944 mentre stanno operando un'azione di sabotaggio nello stabilimento
S.I.A.I. (Società Idrovolanti Alta Italia) di Borgomanero, vengono
sorpresi da una pattuglia nazista e fucilati immediatamente sul posto.