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Comitato provinciale di Novara
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La lotta partigiana nel Novarese (attualmente Novara e Verbano - Cusio - Ossola)
Alcune date significative del mese di dicembre 1943/444
NEFANDEZZE FASCISTE - Soriso, 8 dicembre 1943
Caduta: Enrichetta Pattaroni in Monti
Soriso è un piccolo centro posto sulle colline del
medio novarese; a solo tre chilometri da Gozzano, a 452 metri di
altitudine, con una popolazione di poco più di settecento abitanti e con
una fiorente attività artigianale per la lavorazione delle pelli e la
fabbricazione delle scarpe. Già nel 1922 i fascisti avevano dato
dimostrazione della loro propensione alla violenza; si erano scatenati
contro la cooperativa calzolai ed avevano assassinato il presidente della
Cooperativa.
Nei primi giorni del dicembre 1943 una pattuglia
garibaldina, notte tempo, effettua un "prelevamento" di
calzature. «Fa freddo, tutto scarseggia. La neve minaccia l'esistenza
dei partigiani, impellente si fa sentire il bisogno di calzature. Ma
mentre i partigiani sono quasi scalzi, fiorente è in Soriso il mercato
nero delle scarpe; fra i tanti un certo Mago fa parlare di sé per tutta
la vallata ed oltre»
.
La reazione al "prelevamento" delle scarpe è
immediata. Qualche ora dopo piomba in Soriso una squadraccia nera; i
metodi non cambiano; i fascisti urlano, sparano, terrorizzano la
popolazione ben sapendo che i partigiani sono ormai lontani dal paese. E'
il finimondo, la gente si tappa in casa; il terrore uccide un'anziana
signora, madre di quattro figli, Enrichetta Pattaroni in Monti, stimata da
tutta la popolazione.
I fascisti non si sentono colpevoli; il loro commento
è : «La donna era anziana, sarebbe morta lo stesso».
TORTURATI E FUCILATI - Borgosesia, 22 dicembre 1943
Caduti: Rinolfi Renato,Adelio Bricco, Enrico Borandi, Mario Canova, Giuseppe Fontana, Emilio Galiziotti,
Angelo Longhi, Silvio Loss,Renato Topini, e Giuseppe Osella
E' in corso uno dei tanti rastrellamenti
nazifascisti. Questa volta è di turno la "Tagliamento",
un'unità fascista che nel corso dei venti mesi di lotta lascia una
lunga traccia di violenze, di sangue e di rovine. Il rastrellamento prende
il via a Prato Sesia ove vengono perquisite tutte le case alla ricerca di
partigiani.
Il 21 dicembre 1943 viene individuato e prelevato
Renato Rinolfi di anni 22, nativo di Prato Sesia. Il giovane Rinolfi viene
trasportato a Borgosesia e rinchiuso in un locale del Municipio con altri
nove partigiani e civili catturati nel corso del rastrellamento. Nella
notte fra il 21 e il 22 dicembre, ai posti di blocco all'entrata di
Montrigone, Aranco, e ad Agnona alle porte di Borgosesia vengono catturati
civili e partigiani e fra questi l'industriale Giuseppe Osella
considerato il "Papà della Valsesia" per il suo coraggioso
comportamento quale podestà di Varallo Sesia. Osella era noto per non
aver mai ceduto alle pressioni per iscriversi al PNF, e si era dedicato
all'aiuto degli "sbandati" e all'organizzazione della
Resistenza. L'attività dell'Osella in favore dei partigiani è ben
presto di dominio pubblico e quindi la vendetta fascista non può tardare.
Il 21 dicembre del '43: il 63° battaglione "Tagliamento"
al comando, ricorda Moscatelli, del famigerato Zuccari è costituito da
circa cinquecento militi ben armati. La milizia fascista è in Val Sesia
per liquidare la banda garibaldina, con un rastrellamento a tappeto e con
azioni terroristiche, ritiene di poter mettere fine al fenomeno partigiano
e costringere la popolazione a non prestare aiuto ai "ribelli".
Il dottor Bader e Cesare Bermani, nel raccontare ciò che avviene nella
notte tra il 21 e il 22 dicembre (un vero e proprio massacro), ricordano
che, nei punti del corpo ove sono legati, agli ostaggi «manca la
pelle», che vengono «tolte loro le unghie», che
«hanno fuori i denti» e che piovono «botte con
il moschetto»; Osella viene tenuto sospeso a lungo con una corda
stretta al petto, cui vengono dati forti strappi per ridurlo alla
soffocazione.
In ora antimeridiana del 22 dicembre il "Papà
della Val Sesia" Giuseppe Osella E gli altri otto compagni di
prigionia vengono trascinato dinanzi alla Chiesa di S. Antonio, addossati
al muro e fucilati.
IL CONTADINO VENUTO DALLA GEORGIA - Lesa, 3 dicembre 1944
Caduto: Musolishvili Phore Nicolaievic
Verso la fine di novembre '44, il versante del
Mottarone viene investito da un intenso rastrellamento. I reparti della
"Servadei", ove vengono attaccati, si difendono e
contrattaccano, sorprendendo il nemico,lo fanno retrocedere e riescono ad
aprire un varco attraverso cui passare ed evitare che la morsa dell'accerchiamento
li soffochi.
Il rastrellamento continua e la "Servadei" si
scompone in piccoli reparti, in squadre e in nuclei, per trovare maggior
agilità nel movimento ed eclissarsi più agevolmente. Queste piccole
unità non perdono la loro combattività ma, anzi, con la tattica della
guerriglia, attaccano le pattuglie nemiche e fanno quindi perdere
immediatamente le proprie tracce.
Solo un nucleo cade ancora nella rete del nemico,
perché la sua presenza viene segnalata da una spia.
Affaticati dal lungo peregrinare per sfuggire ai
rastrellamenti nazifascisti, i partigiani di un nucleo della "Servadei"
si fermano, a notte avanzata, in un cascinale posto sulle alture di Lesa e
Belgirate. È l'alba del 3 dicembre: il nemico si dispone attorno alla
casa; solo all'ultimo istante la sentinella partigiana dà l'allarme;
i partigiani, coraggiosi, vogliono vendere cara la loro vita e si battono
con generosità fino all'esaurimento delle munizioni. Una sola cartuccia
tiene in canna il georgiano Musolishvili Phore Nicolaievic (nato 1919 a
Kvemo Machaani in Georgia Sovietica, catturato con un reparto di 50
commilitoni arruolati nella Wehrmacht e passati interamente nelle file
partigiane). Il comandante nemico, visto l'eroico comportamento dei
partigiani, promette salva la vita a tutti a condizione che il comandante
del reparto partigiano si consegni. Il comandante del nucleo garibaldino
sta per accedere all'intimazione quando si fa avanti Phore che rivolto
all'ufficiale nazista dice: «Sono io il comandante. Viva i
partigiani! Viva l'Italia libera! Viva la Russia» ed estratta
la pistola si spara un colpo alla tempia. Phore è stato insignito della
Medaglia d'Oro al Valor Militare
"IL MARO'FUCILATO" - Arona, 5 dicembre 1944
Caduto: Giuffrida Antonio
Reparti della "X Mas" si sono installati nel
palazzo (requisito) del collegio De Filippi di Arona. Le proteste del
Rettore, don Giuseppe Locatelli, vengono ignorate dal comandante, capitano
Di Giacomo. Il compito della "X Mas" è quello di «repressione
antipartigiana». In effetti, purtroppo, molti giovani arruolatisi
nel raccogliticcio esercito della Repubblica di Salò non conoscono a
quale impiego sono destinati, non sanno che il loro compito è quello dare
la caccia ai partigiani e mantenere la popolazione civile in condizione di
terrore. Ma è anche vero che diversi di questi giovani, arruolatisi per
evitare di essere inviati in campo di concentramento o in galera e nella
convinzione di essere destinati al fronte di guerra, contro gli
amgloamericani, disertano non appena vengono a conoscenza del loro reale
impiego.
Tra i "marò" di stanza ad Arona vi è anche
Antonio Giuffrida, un ventunenne tornitore milanese che, non essendo del
parere di andare a caccia di partigiani e di commettere angherie contro
civili, abbandona il reparto e si rifugia nella sua Milano.
Le spie sono sempre pericolose e nel corso della lotta
di liberazione le spie sono il nemico più duro da battere e causa di
tante distruzioni ed assassini. Antonio Giuffrida, il "marò" che ha
disertato, viene catturato da suoi ex camerati su indicazione di una spia.
Il giovane milanese viene ricondotto ad Arona e immediatamente condannato
a morte dal comandante cap. Di Giacomo.
Il rettore del collegio De Filippi, prof. Michele
Pozzi, cappellano degli Alpini e M.A. al Valor Militare, e don Grazzini
tentano ogni strada per salvare la vita dell'ex "marò", ma il comandante
Di Giacomo è irremovibile, insensibile ad ogni ragione e preghiera.
Il 5 dicembre alle ore 19.40 Antonio Giuffrida viene
fucilato nel cortile del collegio De Filippi.
Lettera del "Marò" Antonio Giuffrida alla mamma
Mammina adorata,
oggi 5 dicembre 1944 munito dei conforti religiosi di
un Santo Padre, mi presento al cospetto di Dio.
Sono convinto di morire per una causa giusta, vedrai
che il mio sacrificio non sarà vano. Muoio contento di avere tutto dato
per questa nostra Italia. Sii forte, Mamma, sii forte come lo è stato il
tuo Antonio. Spero che nell'al di là ci sia quella pace tanto
desiderata e un giorno quando felici ci potremo ritrovare, sarà per
sempre, per l'eternità.
Della mia roba fanne l'uso che credi più opportuno.
Ti bacio
Antonio
ORRIBILMENTE SEVIZIATO - Vezzo di Gignese, 11 dicembre 1944
Caduto: Murdaca Giorgio (Sergio)
Il "battaglione Peppino" della
"18^ brigata Servadei" opera, in modo particolare, nel
Vergante, sull'uno e l'altro versante del Mottarone. Il battaglione si
regge su numerosi nuclei e pattuglie "volanti" per godere di
maggiori possibilità di movimento e di manovra e sfuggire, più
agevolmente, alla caccia del nemico. Non è comunque sempre facile e
possibile sfuggire ad una caccia condotta in continuazione, senza respiro,
per venti, trenta giorni da unità speciali anti-guerriglia. La
stanchezza, la fame e ora anche il freddo costringono a soste in località
ed in rifugi poco sicuri.
Una squadretta partigiana, il mattino dell'11
dicembre, fa sosta in un cascinale che si affaccia su Vezzo, una piccola
frazione di Gignese. A Giorgio Murdaca "Sergio", un diciottenne
che arriva da Cremona, viene affidato il compito di sentinella. Il
giovane, accorgendosi del sopraggiungere dei tedeschi, dà l'allarme
sparando raffiche di mitra verso l'avanguardia nemica. Pur rimanendo
ferito dalle raffiche sparate dal nemico in risposta alle sue, non si
arrende e continua a sparare finché rimane senza munizioni. Il coraggio e
la generosità del giovanissimo Murdaca ritardano l'avanzata del nemico
e danno la possibilità ai compagni di togliersi dalla pericolosa
situazione.
Il comandante della squadra "Gangi" nel
rapportino serale dice «Ancora in vita, Giorgio viene mutilato di
un occhio, con una pugnalata viene evirato e, quindi, finito a colpi di
moschetto sul cranio. Infine viene gettato nel fuoco della cascina
incendiata». Il certificato di perizia medica conferma quanto
asserito da "Gangi".
MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA d'ARGENTO AL VALOR MILITARE
Diciottenne combattente nella lotta di liberazione,
posto di vedetta in posizione avanzata, apriva il fuoco al sopraggiungere
di sorpresa di un reparto tedesco. Asseragliatosi da solo in una baita
continuava a sparare benché ferito, rifiutando di arrendersi e ritardando
l'avanzata del nemico. Incendiata la baita e costretto ad uscire, veniva
selvaggiamente seviziato e barbaramente trucidato cadendo da prode sul
campo, nell'adempimento del dovere.
CACCIA ALL'UOMO - Vaprio d'Agogna - Suno, 14 dicembre 1944
Caduti: Beldi G. Carlo, Bertolotti Luciano, Del Grande Marino, Espositi Cesare, Massa Savino,
Poletti Remo, Signorelli Pierino Carlo, e i civili Andorno Luigi, Bolchini Carlo, Gaboli Antonio,
Giannuso Antonio, Maffioli Isacco, Ramazzotti Gaudenzio, Ramazzotti Giovanni, Ramazzotti Luigi
Nella larga fascia di territorio compresa nel
quadrilatero Arona-Grignasco-Briona-Bellinzago operano numerosi reparti
garibaldini; sono reparti della brigata "Nello", della "Volante Loss", della "Pizio Greta",
della "Servadei", attivissimi, dal maggio- giugno del '44, in pianura e in collina nelle
azioni di disturbo, nelle azioni di guerriglia che danno filo da torcere
alle colonne avversarie dirette verso l'Alto novarese e la Val Sesia.
Il 10 e il 13 dicembre numerosi reparti nazifascisti
partono dalle località limitrofe al comando del famigerato fascista
borgomanerese Roncarolo, si dirigono verso Vaprio d'Agogna e Suno. Nella
sera del 13 ci sono i primi scontri che all'alba del 14 si fanno più
intensi. I partigiani danno prova di aver appreso l'arte della
guerriglia e portano disorientamento nelle file del nemico che è
costretto a segnare il passo. "Walter", "Lince",
"Fulvio", "Edo", con i loro uomini non danno tregua al
nemico affrontandolo con decisione e facendogli trovare il vuoto nel
contrattacco.
Nel corso della giornata arriva a dare man forte ai
nazifascisti il treno blindato.
«Fiamme fumo, boschi e case bruciano,
mentre» ricorda Moscatelli «un po' dovunque si
susseguono gli scontri. Si combatte a Vaprio d'Agogna, a Bogogno, a
Divignano, a Suno, a Mezzomerico».
Dal rapporto del comandante di un battaglione della
"Servadei" si apprende che mentre alcune squadre prendono
posizione nelle vicinanze di Agrate, altre squadre vengono «inviate
verso la Cascina Cordona per controllare eventuali puntate da Mezzomerico,
Mottoscarone, Montecchio. Verso mezzogiorno un centinaio di fascisti
provenienti da Borgoticino raggiungono Conturbia e si sistemano a difesa
del Castello».
Sull'imbrunire, squadre della "Volante Loss"
dopo una positiva azione per far tacere la mitragliatrice del Castello,
nel tentativo di ripiegamento verso Divignano vengono affrontate dal
nemico appostato nella boscaglia che intima la resa. I garibaldini
rispondono con un improvviso e deciso attacco e dopo ripetuti assalti
costringono i nazifascisti ad abbandonare la posizione.
Dall'una e dall'altra parte le perdite sono gravi.
Quattordici partigiani catturati nel corso del combattimento vengono
inviati nei campi di eliminazione. Ma ancora una volta la rabbia
nazifascista si scatena contro la popolazione civile di Suno e di Vaprio d'Agogna:
è una feroce caccia all'uomo.
Viene riportato nel racconto del "Furiere"
pubblicato dalla "Stella alpina" il 30/11/1945: «i nazifascisti
sparano su tutti e tutto, il saccheggio precede la distruzione delle case
e di cascinali
».
Ma finita la battaglia si ricompongono le formazioni
partigiane. E si ricostituiscono più forti i centri di solidarietà con i
partigiani: civili e partigiani più uniti di prima nella lotta contro i
feroci oppressori.
VILTA' E TRACOTANZA - Cavaglio d'Agogna - Cavaglietto, 10-16-17 dicembre 1944
Caduti: Provera Pier Angelo, Migliavacca Carlo, Fatti Claudio, Garzulano Luciano, Tara Ettore
Subito dopo l'8 settembre, mentre il fascismo si
mimetizza, almeno per qualche giorno, il Paese comincia a dare rifugio
agli ex militari che lasciano le caserme, a dare loro vestiti civili, a
organizzare la raccolta di viveri, vestiario, medicinali per gli
"sbandati". Cavaglio è uno dei primi centri dell'organizzazione
resistenziale. Alfredo Di Dio è uno dei primi a presentarsi a Carletto
Leonardi (una delle più belle figure dell'antifascismo novarese)
ricevendone indicazioni e aiuti per dare vita al primo gruppo partigiano,
in Valstrona. Cavaglio d'Agogna, la sua brughiera, i suoi boschi e le
sue colline ospitano, senza soluzione di continuità, i partigiani
garibaldini.
La brigata garibaldina "Osella" ha, quasi
costantemente, nella zona di Cavaglio d'Agogna e di Cavaglietto, un
proprio reparto, il battaglione "Ranzini" il cui comandante nel
dicembre del '44 è Giuseppe Scacchi.
In zona operano pure reparti della "Volante Loss"
agli ordini di Arrigo Gruppi "Moro". Il 10 dicembre, a seguito
di un tragico incidente, il battaglione "Ranzini" perde il
diciassettenne novarese Pier Angelo Provera.
In zona gli scontri sono frequenti e ciò
particolarmente nel dicembre 1944. La "squadraccia" del boia
Martino e le brigate nere, che prendono stanza a Novara, si alternano nei
rastrellamenti che, di norma si concludono con saccheggi, distruzioni e
prelevamento di ostaggi e, sovente con assassinii.
Questa volta lo scontro ha inizio nei pressi della
cascina "Aurora". Un piccolo reparto della brigata
"Osella" sta per essere sopraffatto da un grosso reparto nemico,
quando il comandante della squadra garibaldina, il ventunenne novarese
Luciano Garzulano, e altri compagni, il trentenne Claudio Fatti, novarese
della frazione Lumellogno ed Ettore Tara di Carpignano Sesia, escono allo
scoperto e tengono duro sparando in continuazione finché il resto della
squadra riesce a tirarsi fuori dalla disperata situazione. I tre
partigiani cercano allora di raggiungere il bosco, ma sono ormai al
termine delle munizioni e cadono abbattuti dalle raffiche dei mitra
nazifascisti. Nel corso del rastrellamento, che si è protratto per tre
giorni, cade anche il partigiano garibaldino Carlo Migliavacca.
MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D'ARGENTO AL V.M. A LUCIANO GARZULANO
Comandante di plotone partigiano, ricoverato in
ospedale per precedente ferita in combattimento, raggiungeva ancor
febbricitante con un braccio ingessato il proprio reparto impegnato contro
preponderanti forze nemiche. Dopo tre giorni di duri combattimenti restava
in zona con altri due partigiani per assicurare lo sganciamento del
plotone. Nella generosa azione cadeva per la libertà della Patria
Brughiere di Cavaglio, 29 dicembre 1944
MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL V.M. A CLAUDIO FATTI
Comandante di distaccamento partigiano, predisponeva
con cura, nella imminenza di un rastrellamento nemico, in particolare per
la Resistenza od oltranza. Dopo due ore di violento combattimento, visto
il suo reparto incalzato da preponderante avversario, ordinava il
ripiegamento rimanendo a proteggerne con il fuoco della sua arma lo
sganciamento. Circondato dal nemico , anziché arrendersi, continuava l'impari
lotta, immolando la vita per la libertà della Patria
Brughiere di Cavaglio d'Agogna, 16 dicembre 1944
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CHI SIAMO
LA COSTITUZIONE della REPUBBLICA ITALIANA
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