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Comitato provinciale di Novara
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La lotta partigiana nel Novarese (attualmente Novara e Verbano - Cusio - Ossola)
Alcune date significative del mese di aprile
- UN EROICO MEDICO NOVARESE
- UN NOVARESE FUCILATO AL "MARTINETTO" - Torino, 5 aprile 1944
- LA RAPPRESAGLIA SEMINA ODIO - Colloro di Premosello, 2-4 aprile 1945
- IL CALZOLAIO DEI PARTIGIANI - S. Anna di Omegna, 6 aprile 1945
- ASSASSINIO IN CASCINA - Isarno di Novara, 10 aprile 1945
- I TRE DELL'"AUGUSTO" - Alpe Cardello, 12 aprile 1945
- CON I PARTIGIANI DI TITO - Serengrad, 12 aprile 1945
- LA BATTAGLIA DI ARONA - Arona, 14 Aprile 1945
- LA VITA PER L'ITALIA - Ornavasso, 15 aprile 1945
- SUL CIGLIO DELLA STRADA - Fondotoce, 15 aprile 1945
- A DUE PASSI DALLA LIBERTA' - Nibbiola - Albonese, 19 aprile 1945
- L'IMPRESA DI "MIRKO" - Varzo, 21-22 aprile 1945
- ATTACCO AL PRESIDIO DELLA "FOLGORE" - Borgomanero, 22-23 aprile 1945
UN EROICO MEDICO NOVARESE
Caduta: Attilia Zeno, 12 novembre 1944
Caduto: dr. Luigi Ubezio ("Bigin"), Flossenbürg, aprile 1945
Professionista di notevole valore, con una vasta
clientela a Novara, il dr. Ubezio non esitò ad abbandonare il proprio
studio per dedicarsi alla causa partigiana.
Ottenne dal Comando Garibaldino della Valsesia di
poter organizzare, a spese proprie e sotto la sua direzione, un
"servizio informazioni" che diede immediati risultati positivi,
grazie ai suoi addentellati in tutti gli uffici pubblici e nei comandi
nazifascisti di Novara.
Entusiasta e dotato di senso pratico, non solo riuscì
a fornire al Comando partigiano e agli alleati preziosissime informazioni,
ma trasportò con la propria macchina partigiani feriti o ammalati nelle
case di cura di Milano e Torino e anche staffette con materiale di
propaganda e documenti di estrema importanza, superando i posti di blocco
nemici. Decine di azioni pericolosissime non fiaccarono la volontà dell'eroico
chirurgo garibaldino, che per essere più vicino e a completa disposizione
del Comando, nel settembre 1944, abbandonò la città e si spostò a
Maggiora.
Ubbidendo ad un ordine del Comando garibaldino, una
sera di febbraio, accompagnato dalla moglie Attilia Zeno che costituiva
sostegno morale e materiale nel compito che si era assunto, portò una
staffetta al Comando Generale di Milano, dove era attesa ansiosamente. Al
rientro, nei pressi di Galliate, una pattuglia partigiana gli intimò l'Alt!.
Pensando ad un trucco dei fascisti, l'Ubezio non raccolse l'intimazione
e proseguì. Una raffica: la moglie s'accasciò su di lui, colpita a
morte. Pur con l'immenso dolore per la perdita della compagna, l'Ubezio
continuò la lotta a Nibbiola, dove era ospitato da alcuni parenti.
Belloni lo attaccò sulla stampa fascista, accusandolo
apertamente di essere un partigiano, ma l'Ubezio, anziché usare
particolari precauzioni, si diede da fare per procurare basi sicure per i
nuclei di resistenza che operavano nel Basso Novarese.
Dei fascisti travestiti da partigiani chiesero ed
ottennero il suo aiuto; quindi lo arrestarono e lo portarono alle carceri
di Novara.
L'ultimo suo scritto al Comando Garibaldino della
Valsesia, vergato in cella e fatto pervenire per vie clandestine, diceva:
«Cari amici, non proponete ufficiali tedeschi
per il mio scambio. Riservate queste cartucce per altri partigiani che
devono essere liberati. Io spero di cavarmela da solo»
Il Comando Garibaldino tentò ugualmente di proporre lo
scambio facendo pressioni tramite l'Arcivescovo di Milano, ma purtroppo
l'Ubezio venne immediatamente inviato al campo di smistamento di Bolzano
e quindi trasferito nel campo di eliminazione di Flossenbürg in Germania.
Dai compagni di prigionia che hanno avuto la fortuna di
rientrare in Patria si è conosciuto il comportamento dell'Ubezio nel
campo di concentramento. Era l'animatore, il più forte, e manteneva
alto il morale di chi gli era attorno, sempre certo della vittoria del
popolo. A pochi giorni della Liberazione, prodigandosi nella cura degli
ammalati di tifo petecchiale, venne colpito dallo stesso male e non resse
all'attacco del morbo.
Cadde così l'eroico e generoso partigiano novarese,
nell'esercizio della sua missione, proprio nel luogo dove il nazismo
credeva di aver distrutto la fraternità e la pietà.
UN NOVARESE FUCILATO AL "MARTINETTO" - Torino, 5 aprile 1944
Caduto: Giulio Biglieri
Biglieri è un novarese di adozione: nato a l'Aquila
il 9 ottobre 1911, a sei anni arriva con la famiglia a Novara, dove compie
gli studi e consegue il diploma di ragioniere presso l'Istituto Tecnico
Mossoti, facendosi una larga cerchia di amici.
Ancora giovane, Biglieri esprime, con grande coraggio,
la propria avversione per il fascismo. Nel 1932, con un gruppo di amici
legati dalla comune avversione della dittatura, organizza un movimento
che, avendo come base di preparazione il territorio della Repubblica di S.
Marino, ha come obiettivo Roma. Il complotto viene scoperto; Giulio
Biglieri, nel 1932, viene arrestato, rinchiuso nelle carceri di Novara e,
in seguito, trasferito a Regina Coeli, a Roma.
L'OVRA, la polizia segreta fascista, non riesce a
raccogliere prove concrete a carico di Giulio Biglieri e dei suoi amici
del movimento clandestino; dopo un breve periodo di carcere, in attesa
delle prove Biglieri e i suoi amici vengono rilasciati. Biglieri effettua
regolarmente il servizio militare di leva; viene richiamato alle armi nel
1935 e inviato in Africa Orientale dove rimane, ininterrottamente, fino al
1940. Rientrato a Novara, Biglieri partecipa ad un concorso per addetti
alle biblioteche, lo vince e viene destinato alla Biblioteca Nazionale di
Torino. Nuovamente richiamato, Biglieri viene inviato sul fronte
greco-albanese ove si conquista la medaglia di bronzo e croci di guerra al
valor militare.
Nel 1943, Giulio Biglieri è in Italia meridionale dove
viene sorpreso dagli avvenimenti del luglio e del settembre. A Roma,
Biglieri ha diversi amici di sicura fede antifascista, si reca da loro,
partecipa alle loro riunioni, viene incaricato di portare al Nord prezioso
materiale clandestino, tra cui "L'Italia Libera" nell'edizione
romana curata da Leone Ginzburg.
Raggiunta Torino, Biglieri si unisce ai più attivi
antifascisti e si getta nella lotta con grande passione e coraggio. Il
Comitato Militare Regionale Piemontese affida al novarese il compito di
mantenere il collegamento fra il Comitato stesso e il CLN di Novara e gli
attribuisce inoltre il compito di "coordinatore militare". Come
ufficiale di collegamento, Biglieri ha sovente contatti con i membri del
CLN Jacometti, Leopardi, Torelli (quest'ultimo sostituito poi da Borgna);
come coordinatore militare ha frequenti contatti con i comandanti delle
formazioni partigiane garibaldine, autonome e matteottine che operano in
città o in montagna, in Valsesia, nel Cusio, nell'Ossola e nel Verbano,
oltre che con i più attivi organizzatori di aiuti alle formazioni armate
(Ribaldi, Ferrarsi, Menotti, Somaglino, ecc,).
A Novara, Giulio Biglieri ha ancora i suoi vecchi amici
e tra questi Ludovico Bertona (ottico, antifascista trucidato in Piazza V.
Emanuele, ora Martiri, il 24/10/44), il prof. Piero Fornara (illustre
pediatra, capo carismatico della resistenza novarese, Prefetto della
Liberazione e deputato costituente), il pittore Sergio Bonfantini, che fa
parte di una famiglia di antifascisti (il padre Giuseppe dopo la
Liberazione è Presidente dell'Amministrazione Provinciale, il fratello
Felice muore nel campo di eliminazione di Dortmund, il fratello Corrado è
il comandante della "Matteotti" nella lotta di Liberazione e
deputato dopo la Liberazione, il fratello Mario professore universitario e
scrittore, prende parte alla Lotta di Liberazione ed è fra i primi
partigiani che entrano in Domodossola).
Il Biglieri viene arrestato nuovamente a Novara nel
febbraio del '44, ma, come in precedenza, i fascisti non riescono a
raccogliere prove sufficienti e dopo dodici giorni di carcere lo
rilasciano ma con una feroce reprimenda da parte del gerarca Dongo che lo
diffida anche a lasciare Novara.
Marzo 1944: Corrado Bonfantini viene ferito dalla
Polizia in piazza Carignano; trasportato all'Ospedale, pur essendo in
gravi condizioni, riesce a fuggire. Nel C.M.R.P., il posto di Bonfantini,
in rappresentanza del partito socialista, lo assume Piero Garlando,
impiegato di banca; il Garlando viene arrestato il 27 marzo dalla polizia
fascista e sul suo taccuino trovano i dati di nascita dei membri del CMRP
e in particolare la data del 31 marzo e il luogo d'incontro (piazza
Duomo) dei membri stessi; il prof. Fornara ricorda in un suo scritto che
in questura Piero Garlando «confessa ciò che sa, tra l'altro l'indirizzo
di Biglieri». Nel pomeriggio dello stesso 27 marzo, Biglieri
viene arrestato nell'alloggio di corso Belgio a Torino.
I primi mesi del 1944 sono drammatici per il CMRP: il
Col. Ratti cade nelle mani dei fascisti il 9 gennaio; il maggiore Pezzetti
è ucciso in febbraio; l'avv. Guglielminetti, democristiano, Ogliaro e
Acciarini, socialisti, vengono catturati e deportati a Mauthausen dove
perdono la vita; Giachino Enrico ("Erik"), organizzatore delle SAP
torinesi, viene catturato il 14 marzo; l'avv. Verdone, liberale, viene
arrestato il 26 marzo e Quinto Bevilacqua, segretario della federazione
socialista di Torino, segue la stessa sorte il 27 marzo, così come
Girando e Leporati, ispettori del CMRP, e Montano, arrestati il 29 marzo.
L'Agenzia Stefani annuncia che il 31 marzo, nel Duomo
di San Giovanni a Torino, «a seguito di una brillante e rapida
azione degli organi della Polizia Repubblicana», vengono
arrestati il gen. Giuseppe Perotti, Silvio Geuna, Eusebio Giamone, Waldo
Fusi, Cornelio Brusio, Paolo Braccini, Franco Balbis, Luigi Chignoli. E'
lo stesso Mussolini ad ordinare ai giudici del tribunale speciale un
«processo esemplare e per direttissima».
Il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato dà
inizio al processo il 2 aprile. Il dibattito dura soli due giorni, il 2 e
3 aprile, nonostante gli interventi brillanti ed appassionati degli
avvocati difensori e le scarse e di dubbio valore prove a carico, il
Pubblico Ministero chiede, come da ordine di Mussolini che venga
pronunciata «una sentenza implacabile, una sentenza che abbia l'effetto
di scoraggiare pesantemente ogni futura attività cospirativa». E
la sentenza è "implacabile" per otto imputati. Vengono «condannati
a morte mediante fucilazione alla schiena»: Perotti, Balbis,
Bevilacqua, Biglieri, Braccini, Giachino, Giamone, Montano. Vengono
condannati all'ergastolo: Garlando, Geuna, Girando, Leporati. Viene
condannato a 2 anni di reclusione: Brusio. Vengono assolti per
insufficienza di prove: Fusi e Chignoli.
Alle "Nuove" nella giornata del 4 aprile,
Giulio Biglieri scrive alcune lettere (ai genitori, alle sorelle, agli
amici); Valdo Fusi, ricordandole al prof. Fornara, osserva: «chi
legga e rilegga le lettere dal carcere di Giulio Biglieri saprà trovarvi
aiuti inestimabili alla propria vita spirituale».
La sentenza di condanna a morte viene eseguita il 5
aprile 1944 al Poligono di Tiro del Martinetto.
E' un'alba squallida, grigia; i condannati a morte
debbono sopportare ancora alcune noiose formalità imposte dalla
burocrazia. Sono le 7 quando i Condannati vengono fatti sedere e legati.
Alle 7.30 il comandante del plotone d'esecuzione ordina: «puntate»! Il
gen. Perotti grida «Viva l'Italia libera»; il suo grido viene
ripetuto dai sette compagni di lotta e di martirio.
Un missionario della Consolata che ha assistito, nelle
ultime ore, i condannati a morte, testimonia del loro magnifico
comportamento. Lo stesso missionario ricorda pure l'incapacità a
sparare dimostrata dai militi della GNR tanto da costringerli a «parecchi
colpi di grazia».
MOTIVAZIONE MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE
Capitano Giulio Biglieri
«Valoroso combattente e abile organizzatore
della Resistenza. Catturato per tale attività e poi rilasciato con la
clausola della vigilanza speciale, riprendeva la sua opera per la
libertà. Arrestato con i membri del Comitato Militare del C.V.L
piemontese, cadeva dinanzi al plotone di esecuzione con la fierezza del
soldato che sa di morire per un superiore ideale».
Torino, 8 settembre 1943 - 5 aprile 1944.
LA RAPPRESAGLIA SEMINA ODIO - Colloro di Premosello, 2-4 aprile 1945
Caduto: Natale Zonca
Dal febbraio del 45 il paese è presidiato da
reparti della "Ravenna", assai nota per le razzie ed assassinii.
Don Giovanni Del Boca, arciprete di Premosello, scrive nel suo diario che
«la fama da cui è preceduta non è davvero buona». Il
comandante della compagnia di stanza a Premosello, certo Moscatelli, è a
conoscenza della fama che accompagna i militi della "Ravenna",
tant'è che, rivolgendosi all'arciprete, dimostrando stupore e
risentimento, chiede: «Vi hanno detto che noi siamo dei
malviventi»?
I militi della "Ravenna" non hanno bisogno di
presentazioni. Già nella prima notte, i presidianti di Premosello sparano
contro gli operai che iniziano o teminano il turno di lavoro in fabbrica;
alcuni operai vengono feriti, alcuni in modo grave, ma commenta Don
Giovanni: «ogni rimostranza è inutile; il loro fucile ha sempre
ragione».
Lunedì 2 aprile, due giovani forestiere stanno
percorrendo la strada che da Premosello sale verso Colloro; quattro militi
della "Ravenna" seguono le giovani, poi, sebbene l'offerta di
accompagnarle venga decisamente respinta, le affiancano fino all'interno
dell'abitato di Colloro. Le due giovani non sanno proprio come liberarsi
dagli indesiderati accompagnatori e percorrono più volte le stradine
della piccola frazione nella speranza di indurre i quattro militi a
lasciarle.
A liberare le due giovani donne arriva un secco comando
di «mani in alto» e in fondo alla strada sbucano tre partigiani
con i fucili spianati. Due militi alzano le mani; il terzo si butta nella
stradina laterale e riesce ad eclissarsi; il quarto, riparatosi dietro le
due giovani, riesce ad estrarre la pistola, spara un colpo, fallisce il
bersaglio e viene ferito da un colpo sparato da uno dei tre partigiani.
I due militi che si sono arresi vengono accompagnati
all'accampamento partigiano; il ferito deve essere abbandonato in quanto
viene segnalata una colonna fascista da Premosello. Durante la salita, nei
pressi della fontana del Canvàl, i militi si imbattono in Natale Zonca;
il capo degli sgherri estrae la pistola e spara un colpo al ventre al
malcapitato Zonca, poi, seguendo l'esempio del loro capo, i militi
sparano a casaccio nelle viuzze di Colloro.
Il milite ferito viene caricato su una barella e
portato a Premosello e quando la colonna dei militi rientra in paese la
popolazione di Colloro, uscita dalle case, trova lo Zonca in un lago di
sangue; il ferito viene in un primo tempo ricoverato in casa Piolini, ma
la gravità della ferita consiglia di ricoverarlo all'ospedale di
Premosello; lo Zonca muore il 4 aprile.
L'arciprete cerca di fare comprendere al comandante
dei militi che la rappresaglia semina odio e insiste dicendo «Così
facendo non fate cosa onesta» ma la risposta del fanatico capo è
«Ebbene, noi lo facciamo lo stesso». Qualche giorno dopo
i fatti di Colloro, un milite di sentinella all'ingresso della
cooperativa di consumo, mentre all'interno i suoi camerati si abbuffano
con panini di farina bianca, burro e marmellata, si lascia incantare dai
begli occhi di una ragazza; due partigiani gli piombano addosso e se lo
portano via verso Colloro
Il Comando della "Ravenna" è costretto a
chiedere lo scambio dei prigionieri. I tre militi fatti prigionieri a
Colloro e a Premosello vengono rilasciati e, dalle carceri di Pallanza,
vengono liberati tre partigiani.
IL CALZOLAIO DEI PARTIGIANI - S. Anna di Omegna, 6 aprile 1945
Caduto: Mario Costamagna
Nell'aprile sono ancora numerosi gli scontri fra
partigiani e nazifascisti; fra gli altri possiamo ricordare quello del 5
aprile in località Gabbio, piccola frazione del comune di Casale Corte
Cerro, fra Crusinallo e Gravellona Toce. Al di la del sottopassaggio della
ferrovia, un pattuglione della GNR è appostato in attesa del passaggio di
partigiani; l'attesa non è lunga perché una pattuglia del battaglione
garibaldino "Romolo" al comando di Carlo Giroldi ("Eden"),
in marcia di trasferimento, si trova a passare proprio da quel punto. Gli
uomini del pattuglione accolgono i garibaldini con scariche di mitra, ma
tanta è la fretta che sbagliano appieno il bersaglio. Intanto
sopraggiunge un partigiano che è rimasto staccato dai suoi compagni e che
coglie d'infilata il nemico creandogli quel momento di esitazione che è
sufficiente ai garibaldini per intervenire decisamente. Passati da
assalitori ad assaliti i fascisti si danno alla fuga, ma lasciano sul
terreno due loro sottufficiali.
L'azione di rappresaglia non tarda a manifestarsi.
Nel corso di un precedente rastrellamento, a Foriero in Valle Strona, era
stato prelevato il partigiano Mario Costamagna di Cherasco (provincia di
Cuneo). Costamagna, detto "Pinin", è salito in montagna ed è entrato
a fare parte della "X Rocco". All'inizio dell'estate del
1944 viene colpito da una grave malattia e i suoi compagni gli hanno
trovato un rifugio a Foriero; per rendersi utile, "Pinin" si mette a
riparare le numerose scarpe rotte dei compagni.
I fascisti del Presidio di Omegna lo prelevano e lo
rinchiudono in carcere, costringendolo a pulire le verdure per i
carcerati. Il 6 aprile, il giorno seguente alla sparatoria di Gabbio, i
fascisti strappano fuori dal carcere il giovane "Pinin", lo bastonano, lo
legano con una fune ad un grosso automezzo che, carico di briganti neri,
si reca in località S.Anna, trascinando il corpo del garibaldino. Prima
di essere abbandonata sul ciglio della strada la salma di Mario Costamagna
viene imbottita di piombo.
La popolazione di Casale Corte Cerro e i partigiani
provvedono ai funerali e, dopo la Liberazione, il corpo del garibaldino
viene trasferito al cimitero di Casale Corte Cerro.
ASSASSINIO IN CASCINA - Isarno di Novara, 10 aprile 1945
Caduti: Giuseppe Avondo, Angelo Colli, Cesare Marchioni
Nei mesi di marzo e di aprile nel '45 si
intensificano le azioni partigiane nella zona a ridosso di Novara. Il
comando garibaldino impegna particolarmente la brigata "Osella"
in un insistente intervento di disturbo sulle rotabile per «fare
pagare caro il pedaggio al nemico». Il comandante "Pesgu"
non ci tiene a far ripetere il suggerimento e, anche se il nemico è tutt'altro
che rassegnato, i partigiani sanno, ora che hanno appreso l'arte della
guerriglia, che neppure i tedeschi sono imbattibili.
Sta per avere inizio l'attacco garibaldino ai presidi
di Fara e di Romagnano Sesia e, nelle prime ore del 16 marzo, tutte le
strade che portano in Valsesia vengono bloccate al fine di evitare che
rinforzi nemici raggiungano la zona calda. La "Volante Loss" ha
un lungo e durissimo scontro, nei pressi di Briona, con una colonna
nazifascista proveniente da Novara e verso sera riesce ad averne ragione e
a metterla in fuga. Qualche giorno dopo, il 19 marzo, una squadra dell'"Osella"
entra in Novara e, in Piazza d'Armi, cattura sette militi, mentre,
nei pressi di Biandrate, i garibaldini della "Musati" bloccano
un autocarro carico di materiale esplosivo e catturano quattro tedeschi.
Le formazioni di città "Campagnolo", "Dellavecchia",
"Rabellotti" e "Biglieri", nell'intensificare la
loro attività, si organizzano per l'insurrezione. Il 25 marzo un
reparto della "Servadei" attacca con successo il presidio di
Arona; reparti dell'"Osella", nei pressi di Orfengo di
Casalino, fanno saltare, con mine, alcuni tratti di rotaie della linea
Milano-Torino; una squadra della "P.Greta" assale e costringe
alla resa il presidio di Vespolate. Nei primi giorni di aprile una squadra
della "Nello" fa saltare sull'autostrada Torino-Milano due
autocarri tedeschi e ripete l'operazione alcuni giorni dopo eliminando
12 tedeschi.
Una pattuglia della "Volante Loss", nei
pressi di Vignale (frazione di Novara), attacca e mette in fuga un reparto
della Brigata Nera che lascia sul terreno un morto e un ferito. A seguito
del fatto di Vignale, il 10 aprile, i fascisti effettuano un raid che ha
quale obiettivo le cascine Ferranda e Moresca della Frazione Isarno, poco
oltre Vignale.
Che cosa intendono fare? Non ci vuole molto a scoprirlo.
I briganti neri strappano dal lavoro della terra tre
lavoratori, l'agricoltore Cesare Marchioni (il giorno prima aveva
aiutato i fascisti in difficoltà con l'automezzo) e i braccianti
Giuseppe Avondo e Angelo Colli e li uccidono sul posto
I TRE DELL'"AUGUSTO" - Alpe Cardello, 12 aprile 1945
Caduti: Roberto Bogni, Antonio Realini, Guido Valentini
All'Alpe Cardello (mt.800), appena sopra Germano, un
piccolo comune della Valstrona, vi è un santuario dedicato alla Madonna.
Sovente i partigiani della "Beltrami" si accampano all'Alpe
Cardello o nelle baite di Luneglio poco più in alto. Nove uomini del
Battaglione "Augusto" arrivano, la sera dell'11 aprile, dopo
una lunga, durissima camminata, carichi di armi conquistate in una azione
vittoriosa, l'Alpe Cardello, ma purtroppo per gli stanchissimi ragazzi,
all'Alpe vi sono già accampati partigiani del Battaglione "Burlotto"
un'unità come l'"Augusto". Non possono fare altro che
riprendere la salita per arrivare alle baite di Luneglio, dove rinunciano
a mangiare e si buttano, vinti dalla stanchezza, sul fieno.
Ma il riposo dei nove giovani non dura a lungo; all'alba
del 12 aprile vengono svegliati di soprassalto da spari, raffiche, scoppi.
La sparatoria che sembra interessare l'Alpe Cardello non dura a lungo ed
è seguita dal silenzio. Remo Ricci, il comandante della squadra dell'"Augusto",
fa nascondere le armi conquistate e dispone i suoi uomini in modo tale da
potere mantenere sotto controllo i diversi sentieri che portano alle baite
Luneglio. Vi è la certezza di avere le spalle coperte dalla squadra che
si rifugia all'Alpe Quaggione.
Ad un tratto la scia giallognola di un razzo solca il
cielo; è la segnalazione della presenza di un reparto nazifascista ed
altri reparti. Presumibilmente, il razzo è partito dalla località
Montebuglio frazione di Casale Corte Cerro, posta sotto il rifugio dei
partigiani. Ricci costituisce subito una mini-pattuglia che deve andare in
ricognizione; la pattuglia è composta da Roberto Bogni ("Ciccio") di
24 anni, Antonio Realini di 18 anni e Guido Valentini di 20 anni. E' lo
stesso Ricci che ricorda: «Poche parole d'intesa, uno
sguardo al mitra,
pochi minuti trascorrono ed alcune rabbiose raffiche si
fanno sentire.
Dal Quaggione ci giunge l'ordine di raggiungere le
postazioni più alte..». I tre nuclei partigiani, riunitisi al
Quaggione, pur essendo in numero assai limitato, decidono di portare l'attacco
ai fascisti che, dopo breve resistenza, abbandonano la posizione e si
danno a una fuga precipitosa.
I fascisti hanno però anche in questa occasione
lasciato il segno della loro barbarie: Realini, Bogni e Valentini vengono
trovati dai loro compagni non solo colpiti dai proiettili dei mitra, ma
«mostruosamente pugnalati in viso e per tutto il corpo»
CON I PARTIGIANI DI TITO - Serengrad, 12 aprile 1945
Caduto: Enrico Bertani
In Italia e all'estero, vi sono comandi che non
rinunciano all'onore e danno l'ordine di resistere all'aggressione
nazista. Vi sono intere unità combattenti che, dopo aver opposto accanita
resistenza, riescono ad unirsi alle formazioni partigiane locali e a
continuare la lotta fino alla vittoria finale.
«
La storia di migliaia e migliaia di nostri
soldati nei Balcani si fonde con quella delle formazioni partigiane
jugoslave, greche e albanesi. Nel corso della lotta questi reparti
italiani si riuniscono tra loro per dare vita alla divisione d'assalto
"Italia". Ad Enrico Bertani, nativo di Belgirate, ventiseienne
caporale maggiore di artiglieria, dopo due mesi di militanza in una
formazione partigiana viene consegnata la Croce al Valor Militare dall'Armata
Jugoslava. Nel corso dell'inverno del 1943-'44, con il proprio
reparto, difende per due giorni un caposaldo dai ripetuti assalti del
nemico e permette al grosso delle forze partigiane di forzare l'accerchiamento
e contrattaccare le truppe tedesche; Bertani e i compagni sopravvissuti
vengono catturati e inviati in campo di concentramento. Alcuni mesi dopo,
nel corso di un'offensiva condotta dai partigiani jugoslavi, Enrico
Bertani evade dal campo, trova rifugio presso una famiglia del luogo e,
quindi, raggiunge un reparto partigiano italiano dove, ben presto
conquista i galloni da ufficiale e guida i suoi compagni in continue
azioni di guerra, emergendo per alto valore ed elevato senso del
dovere».
Le sue doti di guida e di combattente ancora una volta
si rivelano nell'aspro combattimento condotto per la conquista di Babin
Dol, quota 98, difesa da rilevanti forze nemiche. Una mina decima il
plotone di Enrico Bertani e lui stesso viene gravemente ferito.
Ricorda il Comandante di Compagnia: «..E'
l'alba del 12 aprile. Accorro sul posto; un nodo di pianto alla gola mi
impedisce di parlare: quasi tutti i più cari giacciono inerti. Enrico è
stato colpito allo stomaco e, più lievemente, ad una guancia; ma il suo
viso è calmo e sereno, come sempre. Mi guarda con un tranquillo sorriso,
mentre intorno infuria la battaglia. Spero che si possa salvare, ma dalle
prime parole comprendo che è finito. Lo faccio trasportare in una piccola
buca per farlo medicare, ma Enrico non vuole che si perda tempo per lui e
chiede, ripetutamente, che si continui a lottare. Infine mi dice:
Comandante non preoccupatevi di me, andate avanti perché il popolo la
libertà l'attende da noi».
«Enrico spira senza un lamento».
Il governo jugoslavo, alla memoria di Enrico Bertani,
stabilisce l'alta decorazione dell'Ordine al Valore, con decreto dell'AVNOI
del 19 giugno 1945.
LA BATTAGLIA DI ARONA - Arona, 14 Aprile 1945
Caduti: Luigi Iorella, Renato Ferrari, Franco Giunta,
Ezio Pirali, Gian Carlo Tiboni, Giuseppe Caramella, Giuseppe Guazzoni,
Osvaldo Gemma, Angelo Bugio, Giuseppe Nobile, Giovanni Bossetti, Rosa
Stadera (civile), Giuseppe Vallorio (civile), Renato Lanzini (civile),
Stefano Salini (civile)
La brigata "Servadei" che aveva mantenuto per
lunghi mesi in costante allarme i presidi tedeschi e fascisti del
Vergante, ricevette l'ordine dal Comando di attaccare il cosiddetto
"Alcazar" di Arona, rifugio del nemico. Era la sera del 13
aprile 1945: i partigiani della "Servadei" scendevano dai
diversi colli, sovrastanti la bella cittadina che sorge sulla riva del
Lago Maggiore. L'ordine di attaccare giunse alle 5.30 del 14 aprile. Un
inferno! Ma i partigiani avanzarono decisamente verso il centro cittadino.
I fascisti, battuti ovunque, si ritirarono verso la caserma. Quando già
si stava profilando il successo dell'azione, una decina di tedeschi, con
bandiera bianca, chiese di parlamentare.
Ai partigiani che si presentarono al colloquio, i
nazisti proposero di continuare il combattimento contro i fascisti: i
tedeschi non avrebbero opposto resistenza. L'inganno era palese e il
comando partigiano non accettò le condizioni.
La battaglia riprese con maggior accanimento, ma di
nuovo in via Paleocapa si presentò una pattuglia tedesca sventolando
bandiera bianca. I partigiani cessarono immediatamente il fuoco e il
gruppo dei parlamentari avanzò verso i tedeschi. La pattuglia tedesca si
trasse allora da una parte e da una viuzza sbucò una camionetta da cui
cominciarono a mitragliare i partigiani ormai allo scoperto
Intanto, ai tedeschi giunsero rinforzi dai presidi
vicini e le sorti si capovolsero nonostante il coraggio e l'impeto dei
valorosi garibaldini della "Servadei", costretti a spezzare l'accerchiamento
dei gruppi nemici provenienti dall'esterno. Persero la vita nella
battaglia 12 giovani partigiani e 4 civili antifascisti.
Oltre settemila persone, il 16 aprile, seguirono i
feretri dei caduti nella Battaglia di Arona.
LA VITA PER L'ITALIA - Ornavasso, 15 aprile 1945
Caduto: Edmondo Rossi
Edmondo Rossi, detto "Mondo", fa parte di
quel nucleo di giovani di Ornavasso che, nella primavera del '44, si
unisce ad Alfredo Di Dio e, con altri nuclei sorti a Casale Corte Cerro, a
Cesara e in Valstrona, dà vita al "Gruppo Patrioti Ossola" e, in
seguito, nei primi giorni di luglio, con il congiungimento di altri
gruppi, quelli del Mottarone, alla Divisione "Valtoce".
La presenza di "Mondo" nelle numerose azioni
condotte contro i presidi di Condoglia, Vigogna e Mergozzo o negli assalti
al treno blindato è, più volte, determinante per il successo dell'azione
partigiana. Cesare Bettini ricorda, ad esempio, che «Edmondo
Rossi sale sulla locomotiva del treno che si ferma a Candoglia (luglio '44)
per non farlo partire fin quando l'operazione non è finita
. Spara come
un dannato e non permette ai repubblichini di affacciarsi ai finestrini e
di essere nelle migliori condizioni per individuarci mentre facciamo
scendere i cecoslovacchi e ci ritiriamo dietro la piccola stazione». Anche
Gino Zanni, un giovane ufficiale omegnese che affianca "Marco" e
che partecipa alle azioni con "Mondo" lo ricorda come «un
ragazzo di grande valore».
L'attività di "Mondo" e della Brigata
"A. Di Dio" recentemente costituita, è sempre intensa e
continuerà ad esserlo per tutto il periodo della lotta. La Brigata di
"Mondo" nell'aprile 1945 conta 158 uomini che operano
particolarmente nelle seguenti zone: nel Cusio (al comando del cap.
Valsesia); tra Casale Corte Cerro e Piedimulera (al comando diretto di
"Mondo"), in alta valle Formazza.
A pochi giorni dalla Liberazione, il 12 aprile, proprio
in Ornavasso, la brigata nera "Ravenna" nel corso di uno dei
quotidiani rastrellamenti, cattura "Mondo" ed un altro dei suoi
coraggiosi partigiani, Alfredo Rini.
Il Comando della "Valtoce" propone
immediatamente lo scambio dei prigionieri, ma i fascisti rilasciano solo
il partigiano Rini; il comandante della Brigata "Antonio Di Dio"
viene fucilato, nonostante la promessa di scambio, il 15 aprile, nella
"sua" Ornavasso.
SUL CIGLIO DELLA STRADA - Fondotoce, 15 aprile 1945
Caduti: Gilio Battelli, Romeo Maulini, Ireneo Piolini
La testimonianza di Giuseppe Agnesina è stata raccolta
da Giuseppe Cavigioli. Ecco quanto racconta il testimone Agnesina:
«Al crocevia di Fondotoce, frazione di Verbania,
proprio al punto di incrocio di cinque importanti strade, vi è un munito
posto di blocco tenuto dalla Brigata Nera "Ravenna". La sera del
15 aprile due militi (*) armati di mitra e con bombe a mano alla cintura
entrano nella trattoria "Tranquilla", adiacente la stazione
ferroviaria di Verbania. Io mi trovo ad un tavolo con altri tre amici per
mangiare un po' di pane e bere un bicchiere di vino. Con me vi sono
appunto Gilio Battelli di anni 31, mio collega di lavoro presso la
stazione ferroviaria di Verbania, Romeo Maulini, di anni 33, calzolaio, e
Ireneo Piolini di anni 18, un operaio edile. Tutti abitiamo poco lontano
dalla stazione di Verbania.
E' l'ora del coprifuoco, le 21. I due militi
tentano di provocarci con insulti e scherni, ma noi, non accettando la
provocazione, continuiamo a conversare amichevolmente. Ad un certo punto i
due militi ci puntano i mitra contro e ci obbligano a seguirli. Ci dicono
che saremo accompagnati dal loro Comandante, al posto di blocco distante
dalla trattoria circa due chilometri: dovremo subire un controllo. Siamo
disarmati e abbiamo sempre fatto il nostro lavoro ma, sebbene lo si dica e
lo si ripeta ai militi facendo pure presente che i nostri familiari
saranno già in pensiero, i due continuano a pungolarci perché si
continui a camminare sul ciglio della strada che confina con i prati, sul
lato del lago di Mergozzo.
Stiamo ancora parlando quando i due militi ci scaricano
i mitra addosso. Io, ferito di striscio alle costole, d'istinto tento la
fuga ruzzolando giù fino al prato e mi va bene perché ormai è notte,
Attraverso i prati e mi rifugio nel fabbricato della stazione ferroviaria
dove trovo chi mi presta le prime cure. Il giorno dopo vengo prelevato dai
compagni del CLN di Verbania i quali mi aiutano a raggiungere la
formazione "Valgrande" sui monti di Cicogna. Nell'infermeria
partigiana vengo curato dalla infaticabile Maria Peron.
I miei tre amici rimangono stesi lungo il ciglio della
statale. I due militi-sicari si appropriano dei portafogli e, per tentare
di giustificare il triplice omicidio, infilano nelle tasche dei tre operai
trucidati alcune bombe a mano».
(*) Dopo la Liberazione, i due militi vengono
riconosciuti in una fotografia; sono due diciottenni istriani. Arrestati e
processati a Novara, nel 1946 i due fascisti vengono condannati a 18 anni,
ma riacquistano la libertà tre anni dopo.
A DUE PASSI DALLA LIBERTA' - Nibbiola - Albonese, 19 aprile 1945
Caduto: Giovanni Genestrone
Giovanni Genestrone è nato a Nibbiola, un comune
prevalentemente agricolo della Bassa Novarese, a non più di dieci
chilometri dal capoluogo. Giovanni, figlio di un piccolo coltivatore
diretto, non vuole lavorare la terra e va a fare il garzone di macelleria;
è "allergico" all'istruzione premilitare e risponde senza
alcun riguardo ai gerarchetti istruttori che tentano di convincerlo dell'utilità
del "sabato fascista".
D'altra parte Giovanni è cresciuto in una famiglia
di sentimenti non certamente fascisti e ricerca i suoi amici fra i figli
degli operai, dei braccianti e dei salariati che, come lui, non sentono
alcuna attrazione per i prepotenti, per i padroni.
Dopo l'8 settembre, la casa di Giovanni Genestrone
diventa una dei centri di ritrovo dei giovani "ribelli" di
Nibbiola; nella casa di Giovanni si sente Radio Londra e, al termine delle
notizie, vi è sempre qualche intervento della padrona di casa contro i
fascisti.
Giovanni Genestrone ha i primi contatti con i vecchi
antifascisti e, con essi ed altri giovani amici, si mobilita per il
recupero di armi e di munizioni da consegnare ai centri di raccolta, che
provvedono a fare pervenire il prezioso materiale alle prime bande
partigiane.
Quando i garibaldini della "Loss" si portano
nella Bassa, il ventunenne Giovanni Genestrone si unisce a loro. Nell'aprile
del '45, a poco più di una decina di giorni dalla Liberazione, i militi
della "Muti" catturano alcuni partigiani, ma fanno sapere che
sono propensi ad uno scambio, forse ritenendo che il Comando partigiano
sia in possesso di prigionieri. Le squadre della "Loss" ricevono
l'ordine di buttarsi alla caccia di fascisti; la squadra di cui fa parte
Giovanni Genestrone si reca nei pressi del cimitero di Albanese le cui
mura di cinta si alzano ai margini della strada Novara-Mortara percorsa in
continuazione da automezzi carichi di militi.
Infatti l'attesa non è lunga: un autocarro carico di
briganti neri appare alla curva e un garibaldino ordina l'Alt! L'automezzo
riduce la velocità e pare voglia fermarsi. Giovanni Genestrone, ritenendo
di dovere appoggiare l'azione dei compagni, si porta allo scoperto con
il fucile puntato verso la cabina; l'automezzo riprende velocità e
dalla cabina partono alcune raffiche di mitra che abbattono il generoso
garibaldino nibbiolese.
L'IMPRESA DI "MIRKO" - Varzo, 21-22 aprile 1945
Da tempo la popolazione dell'Ossola e i partigiani
sanno che i nazisti hanno deciso di far saltare il tunnel del Sempione e
le 17 centrali elettriche della zona in caso di ritirata delle loro truppe
e di abbandono dell'Ossola. Il Comandante delle forze unificate dell'Ossola,
interprete dell'ansia che aumenta man mano che giungono le notizie del
cedimento dei nazisti, invia un messaggio al ten. Icardi, comandante della
missione Chrysler, a cui, tra l'altro, fa presente che «.. i
partigiani dell'Ossola, consci dell'alta responsabilità che si sono
assunti, difenderanno le centrali elettriche con le unghie e con i denti
perché sanno perfettamente che dalla loro salvezza dipendono il pane e il
lavoro per migliaia di operai al momento della Liberazione»
Le ultime notizie che provengono dai Comandi nazisti
fanno prevedere un'immane tragedia, se tempestivamente non si interviene
a fare fallire il piano nazista. Al Casello n. 12 della stazione di Varzo
sono già ammassate «1.500 casse contenenti 64 tonnellate di
tritolo in pani di circa 60 Kg».
Il nemico ha già provveduto ad approntare, sia nella
Galleria del Sempione, sia nelle centrali elettrice, le celle o i pozzi
per il "caricamento" dell'esplosivo.
Si susseguono riunioni dei comandanti delle diverse
formazioni, si discute sul modo e sui mezzi necessari a fare andare a
monte il piano di distruzione dei tedeschi e, ovviamente, su chi si assuma
tale incarico indiscutibilmente difficile e pericoloso. Non vi è dubbio
che, se l'operazione non venisse condotta con grande perizia, vi sarebbe
il rischio di provocare gravissimi danni a Varzo e alle sue frazioni.
Infine ecco intervenire Ugo Scrittori
("Mirko") che convince i compagni a desistere dal prendere in
considerazione eventuali trattative con i tedeschi e li mette in guardia
su un intervento aereo degli Alleati che, senza alcun dubbio,
provocherebbe danni maggiori e su più vasta zona. Tutti i comandanti
garibaldini presenti alle riunioni sono partigiani di vecchia data, di
provato coraggio e di notevole esperienza nelle azioni di guerriglia;
"Mirko" perciò incontra subito il loro consenso e il loro entusiasmo.
Vengono distribuiti i compiti e viene fissata la notte tra il 21 e il 22
aprile come momento di esecuzione dell'azione. Piove incessantemente e
ogni operazione viene eseguita con precisione e tempestività. Squadre del
battaglione "Damasco" circondano l'albergo Tronconi di Varzo,
in cui sono accasermati una cinquantina di tedeschi; altre squadre
costituiscono posti di blocco sulla SS, da Varzo a Crevoladossola;
guastatori del Battaglione "Fabbri" provvedono all'interruzione
della corrente elettrica e delle linee telefoniche e sabotano l'impianto
telegrafico.
"Mirko" e il cap. Luigi del battaglione
"Torino", con una squadra, giungono nei pressi del casello n.
12, a un centinaio di metri dalla stazione di Varzo, dove vi è un
consistente posto di guardia tedesco. Per ripararsi dalla pioggia le
sentinelle si sono rifugiate in un vagone in sosta; due partigiani le
disarmano e le immobilizzano. "Mirko", con l'aiuto di alcuni suoi uomini,
scardina la porta del casello ferroviario e si trova di fronte ad un'enorme
quantità di materiale esplosivo; ordina il trasferimento delle casse di
tritolo all'esterno e dà l'esempio mettendosi subito al lavoro.
Sono venticinque gli uomini impegnati nel trasporto del
materiale esplosivo lontano dal casello, che depositano in parte sul greto
del torrente Diveria e in parte lungo i binari e in parte, ancora, nei
prati; poche sono le casse lasciate nel casello. In meno di quattro ore,
di notte e sotto la pioggia, i garibaldini compiono tutte le operazioni,
compresa quella di collegare fra loro, con una sottile striscia di
esplosivo, i diversi depositi e di cospargere di benzina sia le cassette
che le strisce di polvere.
Mentre tutti i partigiani si allontanano di alcune
centinaia di metri, "Mirko" e il cap. Luigi, con due garibaldini, rimangono
sul posto; è "Mirko" (decorato Medaglia d'Argento al Valor Militare) che
dà fuoco alle polveri.
«Immense fiammate divampano immediatamente.
Fortunatamente umido, il tritolo arde rapido e non dà luogo a dannose
deflagrazioni; le fiamme sono altissime
il paese di Varzo è
salvo».
I tedeschi fuggono terrorizzati. La Galleria del
Sempione è salva, le Centrali Elettriche sono ormai sotto la più stretta
sorveglianza dei partigiani, i nazifascisti sono in fuga.
ATTACCO AL PRESIDIO DELLA "FOLGORE" - Borgomanero, 22-23 aprile 1945
Caduti: Albino Alberghetti, G.Battista Cappelloni
Ormai i partigiani sono ovunque e passano all'offensiva.
Le azioni si intensificano sia nelle valli dell'Alto Novarese e della
Valsesia, sia nel Medio e nel Basso Novarese, con l'attacco alle caserme
e ai presidi delle città.
Proprio in quei giorni, essendo prossima l'"ora
X", il Comandante garibaldino invia al quartier generale alleato, con
una lettera datata 16 aprile, un piano per l'attacco al presidio di
Borgomanero, osservando però che per «condurre tale azione è
indispensabile l'intervento di quattro caccia bombardieri alleati».
Il 19 aprile il Comando Zona Militare "Valsesia"
invia una lettera ai Comandi della "Divisione Varalli", della
"Divisione Paletta" e , per conoscenza, al "Comando Zona
Ossola", per dare precise disposizioni circa l'attacco al presidio
di Borgomanero che dovrà essere effettuato il giorno 22 aprile. L'attacco
diretto è affidato alla "Loss" e dovrà avere inizio alle ore
8.30. La fascia di sicurezza deve essere garantita da reparti della "P.Greta",
della "Servadei", dell'"Osella", della "Musati"
e della "Curiel".
Gli Alleati spostano l'ora dell'attacco a
mezzogiorno e gli aerei raggiungono Borgomanero alle 12.05. I quattro
aerei arrivano, sganciano quattro bombe che recano grave danno ad alcune
case e colpiscono, solo di striscio, la tristemente famosa Villa Botola
dove si trovano quelli della "Folgore". Cade così il fattore
sorpresa; il ritardo dell'intervento alleato provoca incertezze e il
comando delle operazioni dispone la sospensione dell'attacco. Il reparto
garibaldino entrato in Vergano Santa Croce è costretto ugualmente a
battersi contro un più consistente reparto fascista: lo attacca e gli
infligge notevoli perdite, ma nel corso dello scontro diciannovenne Albino
Alberghetti di Trescore Balneario, garibaldino della "Curiel",
viene gravemente ferito e, per non cadere nelle mani del nemico, si toglie
la vita con un colpo di pistola.
Il 23 aprile è la volta del venticinquenne G. Battista
Cappelloni di Borgomanero, operaio elettricista; era stato nella
"Folgore", ma, agli inizi del 1945, era fuggito ed aveva
raggiunto la "Loss" e si era fatto onore in diverse occasioni:
il 23 aprile, di pattuglia alla periferia di Borgomanero, viene colto in
un'imboscata e abbattuto da una raffica di mitra.
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