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Comitato provinciale di Novara
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La lotta partigiana nel Novarese (attualmente Novara e Verbano - Cusio - Ossola)
Alcune date significative del mese di agosto 1944
Gli episodi riportati in questa pagina derivano da informazioni ricavate dal libro del
Capitano Enrico Massara, già Presidente Onorario dell'ANPI interprovinciale Novara -
Verbania, "Antologia dell'Antifascismo e della Resistenza nel Novarese", 1984
SAMBUGHETTO - 3 Agosto1944
Caduto: Federico Solaroli
Un gruppo di giovani partigiani amici del "Papini" (Circolo Cattolico della parrocchia di
S. Marco di Novara) si ritrovano in montagna, quasi ad un appuntamento "d'onore", sono: Italo
Settembri, i fratelli Arturo e Federico Solaroli, Mario Manfredda "Ten.Mario", Cesarino
Calatrone, Claudio Conti, seguiti da Ivano Goretti di Crusinallo e "Albino".
Gli amici del "Papini" sono assai attivi e non di rado si offrono come volontari per
azioni pericolose. Proprio a fine luglio, la "pattuglia" dei novaresi" viene inviata in Camasca,
sopra le "due" Quarna, in attesa del "lancio" annunciato dalla radio. La staffetta comunica che
il lancio avverrà tra il 2 e il 3 di agosto. Ma nella valle viene operato un rastrellamento dei
nazifascisti e che una colonna punta su Camasca.
Purtroppo i partigiani devono rinunciare alla delimitazione dell'area di lancio, per
evitare che il materiale aviolanciato cada nelle mani del nemico. Decidono di trasferirsi in
Valstrona e nella notte si danno il turno di guardia mentre gli altri riposano. Il periodo di
riposo dura poco, scariche di mitra risvegliano la valle. Nella fuga viene ferito Cesarino
Calatrone ad una spalla. Egli si ripara nel bosco e successivamente è accudito e rifocillato da
un valligiano che lo porta al sicuro in una baita.
Federico Solaroli nel coraggioso tentativo di coprire le spalle al gruppo con le sue
raffiche di mitra viene colpito all'addome e riesce a trascinarsi fino ad un grosso cespuglio di
rododendri per nascondersi, ma una pattuglia fascista lo individua e gli spara due colpi a
bruciapelo al volto. Ivano anche lui ferito riesce a raggiungere gli amici, trova rifugio in un
fienile e viene curato dai valligiani e dal parroco di Sambughetto don Armando Avondo.
ANZOLA d'OSSOLA - 6 Agosto 1944
Caduti: Giovanni Bagaini, Giuliano Ferri, Luciano Paganotto, Giovanni Tosi, Giuseppe
Verrua, Ferdinando Villa, il cecoslovacco Karl Jara, Riccardo Mira d’Ercole, Aldo Leopoldo
Mordenti, Ernesto Morea, Armando Rizzolo, Luigi Rossi, il greco "Aristotele"
Un grosso rastrellamento portato avanti in Valstrona e Valle Massone dai fascisti
provenienti dalla Valsesia, appoggiati anche dall'aviazione, viene impegnato dalla resistenza
dei partigiani per diversi giorni nella "battaglia del Massone".
Anche una squadra di uomini della "Beltrami" riesce ad aprirsi un varco tra i reparti del
nemico, sfuggendo alla cattura. La squadra, composta da tredici uomini, scende il crinale che
sbuca nei pressi di Migiandone e si porta ad Anzola d'Ossola, sulla riva del fiume Toce. Nel
gruppetto partigiano vi sono diversi giovanissimi: Bagaini ha appena 16 anni, Mira d'Ercole,
Ferri, Paganotto, e Rizzoli ne hanno 18, Rossi e Villa ne hanno 19, Verrua e Morea sono nel 20°
anno; gli altri non superano i 23 anni. Purtroppo all'alba entra in Anzola un forte contingente
di brigate nere e di tedeschi, che individuano i partigiani. Impossibilitati alla fuga, essi
tentano una disperata difesa portandosi in un avvallamento tra una montagnola e il rio Tocetta.
I partigiani resistono, ma troppo presto vengono a mancare le munizioni è la fine: Bagaini,
Ferri, Paganotto, Tosi, Verrua, Villa e il cecoslovacco Jara rimangono feriti e vengono
immediatamente passati per le armi.
Mira d'Ercole, Mordenti, Morea, Rizzolo, Rossi e il greco "Aristotele" vengono trascinati
e spintonati fino alla piazzetta del Circolo Cooperativo del paese. Nonostante i disperati
tentativi del parroco don Savoini - pure lui bastonato per aver insistito nel chiedere clemenza
e confessare i ragazzi - i fascisti lo costringo ad assistere con la popolazione ammutolita
all'esecuzione e allo scempio efferato, sfigurando quei giovani volti con scariche di mitra.
ALPE GRANDI - Casale Corte Cerro, 6 Agosto 1944
Caduti: Bruno Bertone, Alfredo Davide Bertone, Paolo Migliarini, Elio Del Signore, Ernesto
De Rivi, Giacomo Stoffler
Il 6 agosto un grosso reparto nazista e un piccolo reparto georgiano (che non ha preso
parte al combattimento), si porta a Casale Corte Cerro verso le 11 antimeridiane. I tedeschi
stanno iniziando un'azione di rastrellamento e si fermano in paese per chiedere dei muli per
trasportare munizioni e viveri. Muli non ve ne sono e i nazisti prelevano, fra la popolazione,
10 ostaggi che vengono usati per trasportare il materiale che dovevano portare i muli.
La colonna nazista riprende il cammino con i 10 ostaggi, quando vedono che da una baita
dell'Alpe Grandi sale del fumo. Il comandante nazista ordina ai suoi uomini di porsi a
semicerchio e avanzare. Nella baita è in sosta una squadra della 3^ brigata "Megolo" comandata
da Bruno Bertone di Casale Corte Cerro e composta da undici uomini (fra cui Giordano, fratello
del caposquadra); il gruppo proviene dalla Minarola e deve portarsi in Valstrona.
L'allarme per la presenza del nemico viene dato quando ormai è troppo tardi; un fuoco
d'inferno investe il gruppo dei partigiani che non si arrendono, escono allo scoperto,
rispondono al fuoco del nemico con un lancio di bombe a mano e con raffiche di mitra; alcuni
raggiungono il bosco vicino e si salvano (Giordano Bertone, Eliseo Bertone, Francesco De Rossi,
Giulio Solari e Marino Venanzi, i due ultimi feriti). Cadono combattendo; Bruno Bertone, 22 anni
di Ramate; Alfredo Davide Bertone, 30 anni; Paolo Migliarini, 33 anni di Casale Corte Cerro;
Elio Del Signore, 24 anni di Gravellona Toce; Ernesto De Rivi, omegnese, e il bresciano Giacomo
Stoffler. La baita é data alle fiamme.
BORGOTICINO - 13 Agosto 1944
Caduti: Virginio Tognoli, Francesco Tosi, Nicola Narciso, Giovanni Fanchini, Cerutti
Franco, Benito Pizzamiglio, Alberto Lucchetta, Luigi Ciceri, Rinaldo Gattoni, Andes Silvestri,
Olimpio Parachini, Giuseppe Meringi
Domenica 13 agosto a S. Michele, piccola località alle porte di Borgoticino, in mattinata
una pattuglia di partigiani attacca una camionetta carica di nazisti, ne ferisce quattro e si
dilegua nella vicina boscaglia. Nel pomeriggio dello stesso giorno, una colonna di camion
carichi di SS e di militi della "X Mas", che al comando del cap. Krumhaar si sparpagliano
sparando all'impazzata per le vie deserte, si gettano contro le misere case, scardinando porte e
finestre. Con le armi spianate, minacciando e insultando uomini, donne e bambini, vecchi e
ammalati, strappano tutti dalle loro abitazioni, dai nascondigli improvvisati, e li spingono
fuori dalle case, attraverso le strade sature di soldati, verso la piazzetta che si riempie di
gente.
Mentre parte degli sgherri tiene a bada i rastrellati con le armi spianate, gli altri si
danno ad un primo sistematico saccheggio nelle case da cui sono stati cacciati gli abitanti. Il
comandante Krumhaar ordina, tramite l'interprete, al commissario prefettizio, l'immediato
versamento di 300 mila lire quale indennizzo per i quattro tedeschi feriti in mattinata a S.
Michele. In breve volgere di tempo la somma viene raccolta e consegnata al comandante nazista.
Ma Krumhaar non è ancora soddisfatto. «Questa mattina, nei pressi di Borgoticino, sono stati
feriti quattro soldati tedeschi. Per ordine del comando superiore, per ogni soldato ferito
verranno fucilati tre uomini di questo paese. Inoltre, affinché non vi trovino più ricovero e
aiuto, il Paese verrà incendiato». Le donne, madri, sorelle e spose, piangono implorando
pietà, i figli si aggrappano ai padri che, a pugni e calci, vengono sospinti contro il "muro
della morte". Non dodici ma tredici sono i condannati a morte, vi è fra loro un milite, ferito e
reduce del fronte russo; si trova per caso a Borgoticino in visita alla fidanzata.
Il plotone di esecuzione è pronto. «Puntate!...Fuoco!» La folla viene contenuta
dalla canea nazifascista con calci, pugni e le baionette innestate. Ricomincia il saccheggio,
tutto ciò che non è possibile trasportare viene dato alle fiamme - case, stalle, fienili,
magazzini - con distruzione dei raccolti di grano e segale. Vengono date alle fiamme 47 case, e
semidistrutti 50 alloggi.
A tarda sera, i criminali se ne vanno. Hanno ormai portato a termine l'orgia di sangue, di
distruzione e di rapina. Dal mucchio delle vittime della ferocia nazifascista la popolazione
sottrae un ragazzo ancora vivo... è Mario Piola.
L'Amministrazione Comunale tutti gli anni ricorda l'eccidio con una manifestazione
pubblica.
TRAGICA NOTTE a SUNO - 23 Agosto 1944
Caduti: Giovanni Boriolo, Stefano Boriolo, Giuseppe Calligari, Francesco Donna, Elso
Farinoni, Enrico Guarini, Antonio Massarin, Rosolino Passerini
Nel pomeriggio di mercoledì 23 agosto è arrivato il comandante tedesco, operante nella
zona, ha convocato il parroco, il podestà e il segretario comunale del paese, e ordinato loro:
«Bisogna provvedere al mantenimento di una trentina di fascisti che Suno deve ospitare».
Il segretario comunale fa presente che un ordine del capo della Provincia avv. Enrico
Vezzalini ha disposto che Suno non debba avere forniture di generi alimentari. «
Arrangiatevi», replica il comandante nazista, e prima di licenziare i convenuti comunica:
«Questa sera, in risposta ai partigiani che hanno, con gravi atti di sabotaggio,
rovinato due locomotive, a Suno saranno fucilati otto ostaggi e guai a chi oserà dare sepoltura
ai cadaveri».
Arrivano in paese i fascisti e gli abitanti di Suno si barricano in casa. Il Segretario
Comunale si precipita al mulino Invernizzi alla ricerca di riso da consegnare ai non graditi
ospiti. All'arrivo in Suno dei fascisti, la moglie e la figlia del segretario comunale, sia pur
con grande paura, escono di casa per rintracciarlo e rimanere al suo fianco. Le due donne
vengono fermate e molestate dai fascisti, ma vengono salvate dal sopraggiungere del congiunto.
I condannati a morte non sono di Suno, arrivano verso sera dal carcere di Novara e vengono
allineati nei pressi della ferrovia.
Don Ginestroni ottiene, dopo insistenti preghiere, di assistere le vittime designate, ma
gli sono concessi solo pochi minuti. Alle 21 del 23 agosto raffiche di mitra stroncano otto
giovani vite. I corpi precipitano nella scarpata e i moribondi vengono finiti con la pistola dal
maresciallo comandante il plotone di esecuzione alla presenza del capitano Sciller. Poi i
fascisti si rinchiudono nell'osteria a gozzovigliare. Nel corso della notte, parroco, segretario
comunale e il messo comunale, con il seppellitore, trasportano con un carro i cadaveri nella
cappella mortuaria. Ci vogliono tre giorni per identificare gli assassinati che erano stati
prelevati dal carcere di Novara dove si trovavano in attesa di giudizio. I loro nomi sono:
Giovanni Boriolo 32 anni di Cavaglio d'Agogna, Stefano Boriolo 40 anni di Cavaglio
d'Agogna, Giuseppe Calligari, 27 anni di Cavaglio D'Agogna, Francesco Donna, 20 anni di Barengo,
Elso Farinoni 18 anni di Briona, Enrico Guarini, 23 anni di Mesagna in provincia di Brindisi,
Antonio Massarin 20 anni di Fossalta di Piave e Rosolino Passerini, 17 anni di Codogno.
FUCILAZIONE nel CORTILE del CARCERE - Domodossola, 26 agosto 1944
Caduti: Antonio Scapin, Renato Bertolotti, Luigi Francioli
Il 23 agosto, in Valle Antigorio, nei pressi di Crodo, i garibaldini della "Redi"
attaccano una forte pattuglia nazista; nello scontro perdono la vita tre soldati nazisti . Il 25
agosto, sulla strada che porta a Masera, un partigiano in motocicletta sbarra la strada a una
macchina carica di tedeschi e scarica la pistola su chi è alla guida, poi se ne va su per la
vallata. Il ferito tedesco è il ten. Klebs, giovane ardito che si vanta di aver partecipato a
trentacinque rastrellamenti di partigiani verso cui manifesta il più aperto disprezzo.
Le carceri sono piene di renitenti alla leva fascista. Nelle carceri di Domodossola sono
rinchiusi diversi giovani non militanti in formazioni partigiane e, tra gli altri, Antonio
Scapin di Masera (22 anni), Renato Bertolotti ( 18 anni) di Besozzo, Luigi Francioli (25 anni)
di Domodossola, arrestato il 25 agosto e incarcerato perché sorpreso per strada dai nazisti i
quali chiedono i documenti di riconoscimento e di "esonero". Il Francioli ha dimenticato a casa
il documento, e preso dalla paura scappa in una cantina: Ma una soffiata permette ai militi di
individuare il luogo dove si nasconde e il commissario di PS lo convince a uscire per portarlo
in carcere al "sicuro": «Così domani mattina tu vai libero a casa tua», assicura il
commissario.
La mattina di sabato 26 agosto, alle 9.30, un plotone nazista entra nelle carceri
mandamentali, preleva a caso un ostaggio (Antonio Scapin), lo trascina in cortile, lo sbatte
contro il muro e lo fucila.
Sono appena suonate le 12: l'operazione si ripete, però gli ostaggi questa volta sono due,
Renato Bertolotti e Luigi Francioli. Anche i due giovani vengono fucilati.
RAPPRESAGLIA della SQUADRACCIA - Novara-Vignale, 26 Agosto 1944
Caduti: Giovanni Diotti, Natale Diotti, Fausto Gatti, Renato Crestanini, Erminio Sala,
Secondo Passera, Iginio Mancini, Orione Berto, Spartaco Berto, Antonio Denti, Pietro Molinari,
Giuseppe Schiorlini, Angelo Saini
Jan Taglioretti comandante del distaccamento "Renato Topini" della brigata garibaldina
"Osella", in un'azione di accertamento presso la stazione di Romagnano Sesia, il pomeriggio del
17 agosto 1944, nota una locomotiva sotto pressione a cui sono attaccati due vagoni vuoti. Al
giovane comandante viene in mente l'idea di caricare i suoi uomini sui vagoni e di portarsi fino
alla stazione di Novara per giocare una beffa ai nazifascisti.
Un ferroviere macchinista si offre di condurre la locomotiva e, in un batter d'occhio, una
trentina di partigiani occupano i due vagoni merci. Verso mezzanotte di sabato 17 agosto il
convoglio si muove, mentre Taglioretti e due uomini prendono posto nella cabina della
locomotiva. Dopo aver bloccato telefono e telegrafo alle stazioni di Ghemme, Sizzano, Fara e
Briona lasciano di guardia due uomini in attesa del rientro del convoglio.
Alle 13 circa di domenica 18 agosto, il convoglio si ferma alla stazione di Novara. Nel
giro di pochi minuti la maggior parte dei partigiani scende e inizia la caccia al brigatista
nero e al nazista. L'operazione riesce appieno: disarmate le guardie, vengono resi
inutilizzabili i centralini telefonici e telegrafici, nel convoglio sono trascinati prigionieri
un ufficiale e quattro militi della GNR e cinque nazisti.
Il convoglio riparte, ma per un inconveniente si dirige verso Vercelli. Taglioretti se ne
accorge e dispone il rientro alla stazione di Novara, mentre un partigiano riporta lo scambio in
posizione primitiva ripartendo per la Valsesia. La manovra consente ad una pattuglia della GNR
di attaccare i partigiani del convoglio, ma lo scontro volge a favore dei garibaldini. I militi
sono costretti a precipitosa fuga e trascinarsi alcuni feriti, mentre fra gli uomini di
Taglioretti viene ferito il caposquadra Marchion. Il rientro di Taglioretti e dei suoi compagni
alla base non riserva altre sorprese e l'impresa si chiude con il successo dei garibaldini.
2° - L'operazione "due ponti"
Il comando garibaldino ha da tempo disposto un servizio informazioni nel basso novarese per
conoscere i movimenti del treno blindato sulle linee Novara-Omegna e Novara-Varallo; la precisa
localizzazione dei posti di blocco disposti lungo la statale 229 (Novara-Borgomanero) e la
provinciale Novara Romagnano Sesia; la situazione difensiva a Vignale e, in generale nella zona
nord di Novara. Il compito di organizzare l'operazione "due ponti" a Vignale è affidato
all'Arch. Arrigo Gruppi, "Moro", borgomanerese, vice comandante della "Volante Loss". Il "Moro",
con una sessantina di uomini - il reparto guastatori agli ordini di Marcodini, "Mago", e il
reparto agli ordini di Secondo Ferri - si reca prima alla cascina nei boschi di Morghengo;
quindi con quattro autocarri, su tre dei quali prendono posto gli uomini e sul quarto viene
caricato materiale esplosivo, pale, picconi ecc., va sulla statale 229, fermandosi a qualche
chilometro da Vignale, all'altezza di una cappelletta. All'operazione prendono parte la squadra
di Scacchi, con Gaudenzio Cislaghi "Califfo" e i fratelli Alessandro e Pierino Maiocchi di
Fontaneto d'Agogna. Sono quasi le due del giorno 25 agosto quando viene dato l'allarme e
l'ordine di raggiungere gli autocarri, il lavoro è stato portato a termine.
Alle due precise i due ponti e la cabina saltano in aria. Nessuna vittima, i garibaldini
rientrano alla base. L'operazione "due ponti" è pienamente riuscita.
Il 25 agosto era la data di scadenza entro il quale i giovani di leva e i richiamati,
dovevano presentarsi presso i posti militari e di polizia italiani e germanici per non essere
«considerati fuorilegge» ed essere passati per le armi «mediante fucilazione».
Molti di questi giovani e richiamati non hanno risposto e si sono dileguati nascondendosi
nei cascinali e andando a lavorare alla "TODT", organizzazione nazifascista.
La "squadraccia" , un'accolita di criminali alle dipendenze di Pasquali e agli ordini
diretti del "boia" Martino, nei giorni seguenti il ferragosto del '44, cattura, nei cascinali e
nei campi, tredici giovani (9 contadini e 4 operai) e li traduce nelle carceri di Novara.
La "beffa del treno" e l'"operazione due ponti" compiuta dai partigiani fanno crescere di
tono la rabbia fascista e fa maturare nelle belve della "squadraccia" la volontà di rifarsi in
atto un'atroce vendetta.
I 13 giovani catturati nelle campagne della bassa novarese sono considerati da Pasquali e
Martino carne pronta da portare al macello.
Nessun processo, nessuna pietà, i capi e gli sgherri della "squadraccia" non fanno mistero
delle loro intenzioni: il destino dei "13" è segnato. Interviene la maestra Rina Musso
patronessa delle carceri, mons. Ossola si porta immediatamente al comando tedesco per implorare
pietà per i 13 giovani. La risposta del comandante tedesco è rassicurante «non ci saranno
fucilazioni».
Ma il "boia" è di tutt'altro parere. Nelle prime ore de 26 agosto, Martino fa il suo
ingresso nelle carceri e ordina che gli vengano immediatamente consegnati i 13 giovani.
È presente la maestra Musso che allarmata chiede a Martino a quale destino vanno incontro
quei giovani contadini e operai. La risposta è falsa: «si distribuiscano loro viveri perché
verranno trasferiti in campi di lavoro».
La patronessa delle carceri distribuisce ai giovani, con parole di conforto, pochi viveri:
pane, uova e formaggio. I giovani tenendo stretti i capi dei fazzoletti in cui sono contenuti i
pochi viveri, escono dal carcere e, con passo sicuro, si recano verso i torpedoni. Il convoglio
procede seguendo l'auto del "boia" che si dirige a nord della città fermandosi a Vignale davanti
alle macerie del ponte della statale sul canale Cavour. I fascisti fanno scendere i giovani
dicendo loro che dovranno lavorare per la ricostruzione dei ponti che sono stati fatti saltare
ai partigiani.
I militi fanno convogliare la popolazione di Vignale verso i due ponti e giovani vengono
divisi in due gruppi: rimangono presso il ponte della statale i fratelli Giovanni e Natale
Diotti, Fausto Gatti, Renato Crestanini, Erminio Sala, Secondo Passera, Iginio Mancini; sono
spinti verso il ponte della ferrovia i fratelli Orione e Spartaco Berto, Antonio Denti, Pietro
Molinari, Giuseppe Schiorlini e Angelo Saini. la maggior parte dei condannati a morte non supera
i 18 anni.
Martino dà alcuni ordini e i militi formano due semicerchi attorno ai prigionieri che
forse ancora non si rendono conto che sta per essere spezzato il filo della loro vita; tengono
ancora stretti nelle mani i capi dei fazzoletti con i viveri, quando arriva un comando secco,
seguito da raffiche di mitra davanti alla gente impietrita costretta ad assistere all'eccidio,
gli occhi fissi su quei visi coperti di sangue, su quei giovani corpi senza vita e gli sgherri
di Martino che sghignazzano. Monsignor Ossola interpella il comandante tedesco per conoscere la
sorte dei 13 giovani prigionieri, e quello risponde: «Sono stati giustiziati». Alcune
donne di Vignale si procurano asciugamani, bende, lenzuola, brocche d'acqua e, con Rina Musso,
ricompongono le salme e lavano i volti ricoperti di sangue. Divertito dal raccapricciante
spettacolo dato da quei 13 corpi martoriati e dalla cura messa dalle donne nel lavare le ferite,
rivolgendosi loro chiede: «Vi siete lavate le mani?». La risposta pronta di Evelina Forti
è «No! mi sono succhiata le dita bagnate di sangue di giovani innocenti».
Il Quartiere Nord e l'ANPI sezione di Vignale-Veveri tutti gli anni organizzano nella domenica più vicina alla data, una grande manifestazione, con messa di suffragio, corteo fino ai luoghi dell'eccidio e comizio conclusivo.
PREMOSELLO CHIOVENDA - 29 Agosto 1944
Caduti: Nini Emma Primatesta, Alfredo Pozzi, Bartolomeo Borsetti, Giuseppina Canna
Borgonovo
La popolazione del territorio di Premosello, per l'intero periodo della lotta di
liberazione, dà generosa ospitalità ai partigiani; purtroppo, però, il territorio di Premosello
è anche luogo di continui scontri tra partigiani e nazifascisti. L'estate del '44 è "calda" per
tutta l'Ossola, ma, in particolare, "brucia" per i nazifascisti, che sono costretti ad
abbandonare i presidi nelle vallate, inseguiti dai partigiani garibaldini, autonomi e
matteottini.
I nazifascisti si vendicano compiendo feroci rappresaglie. È il 29 agosto; nel cielo si
muovono nuvole turgide d'acqua, due partigiani di corvèe hanno già fatto la provvista di viveri
per il loro distaccamento e sono in procinto di rientrare nell'accampamento quando, dal ponte,
vedono sopraggiungere due automobili. Per nulla intimoriti, i partigiani fanno partire alcune
raffiche di mitra, poi si dileguano nella boscaglia. La sparatoria porta un morto e alcuni
feriti fra i soldati tedeschi.
L'azione di rappresaglia non si fa attendere. I nazisti raggiungono il paese, vanno
all'Albergo Proman, abbattono la porta d'ingresso e massacrano a pugnalate la proprietaria, Nini
Emma Primatesta; quindi si recano alla Trattoria del Ponte, trascinano fuori, sulla piazza, il
proprietario Alfredo Pozzi e lo assassinano.
Giunge l'ordine di saccheggiare e di distruggere, e gli "Unni" non si fanno ripetere tale
ordine; saccheggiano quanto è possibile e poi distruggono tutto ciò che non si può portare via.
Bartolomeo Borsetti, sordo anche per l'età avanzata, non ode né grida né spari; viene
sorpreso nell'orto a raccogliere mele e, trascinato per alcuni metri per terra, viene poi
abbattuto a fucilate.
Vecchi, donne e bambini sono costretti a recarsi in piazza, mentre da alcune case salgono
già verso il cielo le fiamme.
Una casa viene fatta saltare con l'esplosivo; dalle macerie viene estratto il corpo
dilaniato di Giuseppina Canna Borgonovo.
Quarantanove abitanti del paese vengono prelevati quali ostaggi, vengono caricati su
autocarri e trasferiti alle carceri di Stresa, da dove verranno rilasciati solo dopo alcuni
giorni.
Il bilancio: quattro civili assassinati; 13 case date alle fiamme; 7 case completamente
distrutte; 35 stalle con bestiame, fieno e paglia, incendiate; numerosi alloggi saccheggiati; 49
persone prese in ostaggio.
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CHI SIAMO
LA COSTITUZIONE della REPUBBLICA ITALIANA
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